Visco al Senato rischia una fine Speciale

Non fosse che per darsi coraggio, la senatrice Anna Finocchiaro, combattiva capogruppo dell’Unione, ha sempre anteposto gramscianamente l’ottimismo della volontà al pessimismo della ragione. Ma stavolta vede nero e sembra in preda allo sconforto. E non a torto, sia chiaro. Tanto è vero che, più rassegnata che irritata, esclama: «Qui ogni giorno c’è una mozione, una trappola, come possiamo andare avanti così?». I destinatari di questo grido di dolore sono, si capisce, Romano Prodi e Walter Veltroni. Come dire il passato e il futuro di un centrosinistra che nei sondaggi è in caduta libera. Perché, come ammoniva Abramo Lincoln, si può ingannare tutti per una volta, un uomo per tutta la vita, ma non si può ingannare tutti ogni giorno.
Fatto sta che l’Unione è in procinto di perdere pezzi come la macchina di Ridolini. Tanto a dritta quanto a manca. Con il risultato che al Senato, dove già di suo si regge per forza di disperazione, la maggioranza rischia a ogni momento il patatrac. La conferenza dei capigruppo ha calendarizzato per mercoledì prossimo la discussione in aula delle mozioni contro il viceministro Vincenzo Visco. E il bello è che la maggioranza, o per meglio dire quello che ne resta, è stata costretta ad avallare la richiesta dell’opposizione perché l’Italia dei Valori non da oggi è dell’opinione che il sullodato Visco da gran tempo avrebbe dovuto fare fagotto. E se tanto mi dà tanto è probabile che la prossima settimana il viceministro diessino ci lasci le penne.
Una vera e propria mozione di sfiducia nei suoi confronti non è tecnicamente possibile. Perché l’allora presidente del Senato Francesco Cossiga, confortato da un parere espresso dalla Giunta per il regolamento il 24 ottobre 1984, ha ammesso sì la mozione di sfiducia individuale. Ma riferita al singolo ministro. E l’unico a farne le spese è stato finora il Guardasigilli Filippo Mancuso, sfiduciato dal Senato nella seduta del 19 ottobre 1995 e il cui ricorso alla Consulta per conflitto di attribuzione ha fatto cilecca. Mentre qui si tratta di un viceministro, un anima del Purgatorio che è qualcosa di più di un comune sottosegretario ma è molto meno di un ministro. Tuttavia la fantasia italica non ha limiti. Perciò le mozioni finora presentate - quelle dell’Udc Francesco D’Onofrio, sottoscritte dagli altri capigruppo dell’opposizione, e del leghista Roberto Calderoli - si ripromettono di ottenere lo stesso risultato con altri mezzi.
La mozione della Casa delle libertà spazia da un minimo a un massimo. Difatti impegna il governo a trasformare in permanente la revoca al viceministro Visco delle competenze relative alla Guardia di Finanza e a invitare il suddetto Visco a rassegnare le dimissioni da viceministro dell’Economia. Anche ammesso che non sia centrato il bersaglio grosso, ossia le sue dimissioni, sarebbe già tanto se all’interessato fosse revocata in permanenza la delega. Perché a perdere la faccia non sarebbe solo lui ma l’intero governo, Prodi e Padoa-Schioppa in testa, che lo ha difeso più che altro per dovere d’ufficio. La mozione della Lega non differisce dall’altra nel dispositivo ma è motivata con le espressioni tutt’altro che lusinghiere, piaccia o no a Guido Calvi, usate dalla Procura di Roma. Pur escludendo un illecito, essa ha messo spalle al muro Visco per le menzogne comprovate e per un comportamento considerato illegittimo.
Le premesse per l’assalto definitivo alla diligenza ministeriale, a questo punto, ci sono tutte.


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