Chissà, magari a un altro anniversario si tornerà a parlare di fumetti, di arte del disegno, smettendola con tutta questa retorica del «muore giovane chi è caro agli dei». Davvero una scemenza, a nessuno piace andarsene prima del tempo, chiunque preferirebbe invecchiare placidamente e in buona salute come Tiziano che mentre superava la soglia degli ottant'anni (tantissimo, nel Cinquecento) continuava a dipingere le sue donne dai capelli rossi; o come Picasso, inesausto consumatore di tele, di donne, di emozioni, fino alla fine.
Andrea Pazienza, invece, è morto il 15 giugno 1988, esattamente trent'anni fa, per overdose di eroina. È stato uno dei più grandi autori di fumetti in Italia e non solo, in ottima compagnia (c'erano Crepax, Pratt, Manara e il suo amico Tamburini, tanto per dire). Forse si può parlare di lui come di un artista, pur sapendo che il fumetto è un linguaggio popolare declinato alle esigenze della storia mentre l'arte, la pittura su tutte, vola libera. Artista si definisce chi prende un linguaggio, lo rivolta, lo sovverte, assumendosi dei rischi e dicendo dei «no». Nell'Italia così bella degli anni '80 la Transavanguardia restituì voce all'arte del dipingere e in genere alla figura: gli acquerelli di Francesco Clemente, i pennarelli di Andrea Pazienza ne hanno disegnato il tratto indelebile.
Trent'anni senza Paz, dunque, poco meno del tempo che gli toccò vivere (32 anni), per una biografia degna di un Caravaggio o di un Jackson Pollock, nell'ennesima versione aggiornata dell'artista maledetto, genio e sregolatezza, oggi fortunatamente fuori tempo e démodé. Anti-eroe tutto italiano cui il nostro cinema rese omaggio già nel 2002 con il film Paz! di Renato De Maria, aprendo la strada ai biopic alternativi con forte accento romanesco e grana indie. Sullo sfondo la Bologna del '77, le aule del Dams, il movimento, Radio Alice, le tagliatelle al ragù e il lambrusco delle trattorie, il punk degli Skiantos e le chitarre dei cantautori. Tanta roba, la Bologna di allora. Ci volevamo andare a studiare tutti, sotto i portici di via Zamboni, convinti che l'Emilia dotta e rossa fosse la realizzazione del socialismo reale in cui fosse comunque garantita (un ossimoro) la libertà del cazzeggio, del dolce far niente.
La notte in cui Pazienza muore, Oscar Glioti compie diciotto anni, giovane appassionato di fumetti che ne scrive sulla fanzine Fumo di China. Una coincidenza che sembra l'incrocio di due destini. Oggi Glioti, esperto della materia e caporedattore di Coconino Press, pubblica per Fandango Fumetti di evasione. Vita artistica di Andrea Pazienza (pagg. 300, euro 15). Qualcosa di più di una biografia o di un saggio. Quasi un romanzo dove al centro c'è sì Paz, ma che aspira all'affresco di una generazione perduta alla disperata ricerca dei propri miti. Una storia cadenzata dai tre principali interpreti dell'universo di Andrea - Pentothal, Zanardi, Pompeo - per un drammatico crescendo di ansia e dolore. La scrittura risulta però faticosa e retorica, nonostante la precisa ricostruzione dell'ambiente, persino a negare l'asciuttezza linguistica di Paz, la sua straordinaria capacità di entrare nella pagina con un flash, una folgorante intuizione, una perfetta sintesi tra immagini e parole.
Celebrativo, non poteva essere altrimenti, l'ultimo numero di Linus, a partire dall'editoriale di Igort, che di Pazienza fu amico e complice, e che ricorda come «le storie nascevano in modo naturale, con il respiro della creatività felice, che sgorgava senza tema di fallire. Non a caso il suo motto era, se ti diverti quando crei, il lettore si diverte con te». Massimo Zamboni, storica chitarra dei CCCP, lo definisce «genio con le ali», genio «nel senso poetico ed etimologico della parola», che «sa tirarla lunga in una sfaticataggine tanto esibita e cialtrona da incantare». Tra inediti, frammenti, omaggi di chi come Paolo Bacilieri, Davide Toffolo, Tuono Pettinato può ragionevolmente iscriversi alla lunga lista di discepoli, il Linus ricordo di Paz tocca le corde della commozione e la nostalgia della perduta età dell'innocenza.
Che rabbia però questa fine così tragica, così a lungo cercata. Perché Paz avrebbe potuto dare ancora tanto e diventare, definitivamente, un artista. Chiudo allora con il commento a caldo di un altro che non ha fatto in tempo a varcare la soglia della maturità, con le parole di Pier Vittorio Tondelli scritte proprio nel giugno 1988. «È questo che la morte di Andrea mi mette davanti, spietatamente: il lato negativo di una cultura e di una generazione che non ha mai, realmente, creduto a niente se non nella propria dannazione...
Andrea è morto come uno dei tantissimi suoi coetanei, come uno di quei ragazzi che meglio di ogni altro aveva interpretato e saputo raccontare. In tutto questo c'è, a mio parere, una grandezza straordinaria, anche se costruita sulle miserie del quotidiano e una coerenza che solo gli ipocriti possono biasimare».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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