Cultura e Spettacoli

Vita quotidiana nell’Età di Mezzo

Crudeltà, fatiche, santità, gioie: aneddoti e curiosità nella «Guida» di Fuhrmann

Quando un periodo storico è «grande»? Secondo Jacob Burckhardt, lo studioso svizzero-tedesco che spaziò dall’antica Grecia al Rinascimento, «la grandezza di un’epoca dipende dalla quantità di persone capaci di sacrificio». È il giudizio che Horst Fuhrmann, presidente emerito dei Monumenta Germaniae Historica di Monaco di Baviera, riprende per cogliere il valore sintetico del Medioevo. La sua preziosa Guida ci avvisa subito, dunque: si può cercare nel Medioevo un tempo di «evasione», ma così facendo si coglierebbe solo la superficie del suo retaggio. Ciò che il Medioevo ci invita a comprendere è il nesso tra il nostro agire e il nostro essere, alla scoperta di ragione e di senso. «Con che cosa comincia la grandezza?», continua lo storico. «Con la dedizione verso qualcosa, con l’atrofia della vanità personale. La grandezza non dipende dalla superiorità intellettuale, poiché questa può esser legata anche a un’indole spregevole. La grandezza è il collegamento tra un determinato spirito e una determinata volontà». E nel caso del Medioevo non mancò neppure l’eccellenza intellettuale, essendo suoi figli Anselmo d’Aosta, Abelardo e Tommaso d’Aquino, giusto per fare tre nomi.
Ciò premesso Fuhrmann conduce il lettore in un sorprendente itinerario che non risparmia le durezze e le crudeltà di un’epoca, ma sa collocarle nella loro giusta dimensione comprendendole alla luce del tempo storico e ricordando sempre ciò che di positivo venne partorito. È il caso del trattamento degli infanti, sui quali incombeva sì il rischio di morte per soffocamento perché dormivano nello stesso letto dei genitori, ma per la cura dei quali si stilarono anche preziosi manuali pratici, come quello di Bartolomeo Angelico della metà del XIII secolo. Oppure l’attenzione per i poveri e gli affamati, cui non era disconosciuta piena dignità umana e verso i quali si moltiplicavano le opere pie. Tanto che la cosa poteva finire con il mettere in difficoltà gli stessi enti caritatevoli. Nel 1140 Pietro il Venerabile, abate di Cluny, in Borgogna, fissò in 50 il numero di pasti gratuiti distribuiti giornalmente dal monastero: un numero maggiore avrebbe portato alla rovina di tutti.
Fuhrmann insiste sulle difficoltà quotidiane degli uomini del tempo, ma non permette la facile equazione «difficoltà materiali» uguale «infelicità»: «Le opprimenti condizioni di vita esterne avrebbero potuto spingere a chiedersi se fosse degna d’esser vissuta un’esistenza passata tra la sporcizia, le fatiche, il costante pericolo di morte e la mancanza di speranze. Perché non sfuggire alla snervante miseria con il suicidio? Ma fino al basso Medioevo un pensiero del genere rimase perfettamente estraneo alla gente. Se si considera il suicidio un “indizio sociale” si deve ritenere che la società medievale fino al XIII secolo fu libera da tensioni generatrici di atti disperati».
L’attenzione della Guida, infatti, non si ferma alla ricostruzione del passato, ma introduce continui paralleli con il nostro presente. Dall’atteggiamento di fronte al problema dei falsi all’analisi critica dei pareri discordanti dei giuristi e della tradizione; dalla funzione del potere temporale e di quello spirituale alla concezione della santità; dalle regole per l’elezione del papa al rapporto tra pontefice e concilio, e molto altro ancora. Quanto è lontano, e quanto è vicino il Medioevo.
Imperdibile poi la gustosa parte sulla «gioia» medievale, intesa come festa e giubileo. Perché si sa che il Giubileo cattolico è nato nell’anno 1300 con Bonifacio VIII, ma troppo spesso si trascura l’«altra faccia del Medioevo», come la chiama lo storico tedesco. Ovvero la laicissima voglia di divertimento, grassa sino all’animalesco, sino ai celebri Carmina Burana, ovvero quella eterogenea raccolta di oltre ottanta poesie che spaziano dalle favole al corteggiamento amoroso e agli ammiccamenti erotici, in perenne bilico tra la raffinata lirica del biblico Cantico dei Cantici all’Ars amatoria di Ovidio. Sarebbe però sbagliato pensare ai Carmina Burana come a un insieme senza capo né coda, perché anzi l’intento pedagogico dell’anonimo compilatore è chiaro: ovvero fornire esempi a profusione - e di sicura attrattiva presso i giovani studenti - dei diversi modi di scriver di poesia. Come dire: grammatica e diletto possono andare insieme.
Lo mostrano bene alcune canzoni a sfondo religioso e a gloria degli imperatori germanici, i quali dal canto loro non si sottraevano sempre al riso e allo scherzo: se pure Enrico III (1039-1056) fece scacciare dalla sua festa di nozze i giullari, giudicandoli troppo sguaiati, Enrico II (1002-1024) si divertì un giorno a prendersi gioco del vescovo di Paderborn. Il sovrano istigò infatti un cappellano a sostituire un passo del messale dove si recitava una preghiera pro omnibus famulis et famulabus, «per tutti i servi e le serve», con le parole pro omnibus mulis et mulabus, «per tutti i muli e le mule». Alle risa dell’imperatore e della corte, il vescovo non seppe come comportarsi... perché conosceva male il latino, e non aveva capito lo scherzo.
Con questa miscela di aneddoti e squarci di senso, di minuzie circoscritte e ricostruzioni che spaziano attraverso i regni e i secoli, Horst Fuhrmann finisce con il guidarci in un Medioevo meno romantico e più terreno, meno immaginario e più reale, ma non per questo privo di fascino e di arguzia.

Anzi, di spirito.

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