La vita di strada dei gigolò dell’Est

Valeria Arnaldi

Hanno tra 11 e 17 anni. Vengono da famiglie che li vendono a associazioni malavitose, condannandoli a una vita di strada, tra accattonaggio e violenze. Oppure sono orfani che, ancora bambini, si mettono in viaggio da soli per raggiungere Roma, città simbolo dell’Italia ricca e accogliente che hanno visto in televisione, nella quale, però, finiscono per essere sfruttati. Proprio i cosiddetti minori migranti, che viaggiano senza l’assistenza di un adulto - quasi tutti di sesso maschile - sono il nuovo business della criminalità. Il gruppo più consistente è composto da giovani romeni, entrati in Italia nascondendosi nei tir o a piedi dopo giorni di cammino. «Sognano Roma convinti di trovarvi facilmente lavoro, ma quando arrivano scoprono che la realtà è molto diversa - spiega Valerio Neri, direttore generale di Save The Children -. Di lavoro non ce n’è, si trovano in strada, senz’altra fonte di guadagno che il proprio talento. Per sopravvivere mendicano o borseggiano, ma i più giovani e carini possono fare facilmente centinaia di euro in una sola serata, prostituendosi. Basta andare nelle strade intorno a stazione Termini, Villa Borghese, piazzale Belle Arti, via Cristoforo Colombo poco distante da dove si prostituiscono i trans, e in giardini e parcheggi intorno al laghetto dell’Eur».
È un vero e proprio boom quello che, negli ultimi tempi, si sta registrando a Roma nella prostituzione minorile maschile. La clientela non manca e, anzi, continua ad aumentare, diventando sempre più esigente. Il cliente-tipo è di mezz’età, sposato, spesso con figli, e ha un concetto di sessualità estremamente vario che, in molti casi, sfocia in perversione e violenza. Pochi si infatuano del ragazzo di vita, diventando suoi clienti abituali, in modo da garantirgli un reddito fisso. I più vanno alla ricerca di nuove esperienze e nuovi visi. Chi è appena arrivato costa caro perché la «merce fresca» è richiesta. Molti ragazzi rifiutano di andare nei centri di accoglienza proprio perché colpiti dall’estrema facilità di guadagno che, credono, durerà per sempre. Dopo pochi mesi, invece, trovare clienti diventa difficile, perché l’afflusso di giovani dalla Romania è continuo, così sono costretti a cambiare quartiere, fingendosi nuovi del mestiere. Questo può non bastare - anche i clienti si spostano a caccia di emozioni - quindi, la migrazione riprende, prima in provincia, poi nel Lazio, infine, di città in città, in tutta Italia. Nei momenti di magra, alcuni pensano di smettere e chiedere aiuto, ma non si può. I ragazzi vengono costretti a vendersi finché sono redditizi. Per paradosso, la vita delle coetanee è più semplice. Molte sanno di venire a Roma per prostituirsi, alle altre viene lasciata una possibilità di scelta: il matrimonio o la strada. Trovare un «amante fisso» non sempre è una soluzione. Con la scusa del rapporto non occasionale, il cliente fa regali, a partire dal telefonino, che diventa uno strumento di violenza, a volte, addirittura fonte di guadagno per il donatore. I «prostituti» si lasciano facilmente convincere a farsi fare fotografie o filmini da mandare poi via cellulare al cliente. Il materiale, a volte, serve solo per sollecitare le fantasie dell’«amico», ma può essere condiviso o messo in vendita su internet, alimentando il mercato della pedo-pornografia. In taluni casi, le foto non hanno solo carattere sessuale, ma ritraggono scene di violenza, stupri, percosse, fino, in casi estremi, alla morte.
«Non esistono dati ufficiali sulla presenza di minori migranti - conclude Neri -.

Ci sono solo stime, peraltro giudicate dagli stessi esperti al ribasso, che parlano di migliaia di soggetti e non consentono di monitorare la percentuale di scomparse sospette. Il racket della prostituzione si basa su questo: nessuno chiederà informazioni su ragazzi senza famiglia, che, ufficialmente, non esistono».

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