«La vita è stralunata come i film che amo»

L'attore Usa racconta il suo ruolo da bisbetico in «St. Vincent» e fa il punto sulla carriera iniziata come acchiappafantasmi

«La vita è stralunata come i film che amo»

da Los Angeles

Trentuno anni da Ghostbusters , 21 da Groundhog Day , 11 da Lost in Translation , 1 da Monuments Men . Uno pensa che Bill Murray, 64 anni da compiere questo 21 settembre (classe 1950, nativo dell'Illinois) sia inavvicinabile per via del suo mitico e duraturo successo, oltre che per il carattere schivo e introverso. E lo è, in parte, come ha scoperto Ted Melfi, regista alla sua opera prima con St. Vincent , appena presentato al festival di Toronto. Melfi aveva bisogno di un attore capace di interpretare un personaggio di mezza età, anzi oltre, perennemente incazzato, ombroso, irascibile. Bill Murray sarebbe stato perfetto. Il guaio, ha scoperto Melfi, e' che Murray non ha un agente, un manager, un P.R.; nessuno. Come contattarlo? Di persona, ovviamente.

Racconta Melfi: «C'è solo un numero verde 800 per contattare Bill, e bisogna premere il 6 per lasciare un messaggio. Dopo due giorni, se sei fortunato, ti richiama il suo avvocato, il quale ti richiede di scrivergli una lettera, che lui passerà a Murray, in cui devi spiegare per filo e per segno perche' gli stai rompendo i cosidetti». E così via. Melfi è stato fortunato: a Murray la lettera è piaciuta ed ha chiesto al suo avvocato di chiedere a Melfi di inviargli la sceneggiatura.

Il bizzarro St. Vincent narra le vicende di un bambino (Jaeden Lieberher), i cui genitori si sono appena divorziati, che trova per amico un vicino di casa (Murray), uno sboccato, edonista, misantropo, amareggiato e chi più ne ha più ne metta. Una stranissima coppia. Del cast del film, che uscirà in Usa il 10 ottobre appaiono anche Naomi Watts (la mamma del bambino), Melissa McCarthy e Chris O'Dowd.

Murray, il cui distacco dalle cose terrene sembra essere perfino cresciuto di recente, ha accettato di incontrare la stampa a Toronto per il lancio di questo film. Enigmatico ed ermetico anche in queste rare occasioni.

Mr. Murray, lei ci sembra anti-mondano più che mai. È così?

«Lo sono da quando morì per overdose il mio amico John Belushi nel 1992, compare di Saturday Night Live , poco prima del mio debutto cinematografico con Ghostbusters - un colpo di culo che non vi dico. Non voglio stare adesso a rivangare, ma certamente quella morte mi ha traumatizzato e alterato il mio sistema e ogni mia singola cellula».

Eppure lei rimane un personaggio di grande impatto pubblico, una celebrità, che le piaccia o meno.

«Sì, ma uno cerca di coniugare vita e lavoro e farli andare bene insieme. Servono due mani per sentire l'applauso, o no?».

Si sente fortunato?

«Non conosco attore che non si sia sentito - o si senta tuttora - disperato e bisognoso di essere amato. Ogni sua interpretazione rivela questa necessità di amore e approvazione. Ti viene da dire: e dai, rilassati, sei sul grande schermo, tutti ti stanno già guardando dal basso in alto. Smetti di essere così insicuro e perfezionista. Voglio dire: ho imparato a rilassarmi e a essere meno paranoico. Da qui, forse, la mia fortuna».

Come descrive St. Vincent ?

«Inizia buffo, spiritoso e da ridere, ma poi diventa qualcosa di diverso, più profondo, commuovente, inquietante, che ne so... imbocca sentieri imprevisti, e prende perfino in contropiede lo spettatore. Un film imprevedibile dall'inizio alla fine, di quelli che piacciono a me».

Trenta anni dal primo Ghostbusters . Un ricordo?

«Il ricordo è che tante persone ancora mi identificano col successo di quel film, e mi sento paragonabile a Miley Cyrus e Justin Bieber, e non lo prendo come un complimento. Ma c'è anche tanta gente che s'identifica con quello stralunato che io sono per davvero, uno che con sa passare dal dramma alla commedia con nonchalance, perché così è la vita».

Ma non le piace essere famoso?

«Essere famoso ti rende un imbecille per un anno e mezzo/due. Dopodiché le arie che ti dai vanno su per il retro e ti gonfiano talmente che diventi come una mongolfiera che vola a testa in giù sbatacchiata dal vento.

Poi ci metti un anno e mezzo/due per ritornare in te e riacquistare un briciolo di sanità. Chi non ci riesce, perché magari lassù non c'aveva niente, diventa un patetico pagliaccio, come avevo rischiato di diventare io subito dopo Ghostbusters . Mi sono ripreso Justin' time, giusto in tempo».

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