«È vittima della legge del clan: può essere solo moglie e madre»

I casi limite cresceranno perché cresce la ribellione

Khaled Fouad Allam, docente di Sociologia del mondo musulmano all’Università di Trieste. Siamo di fronte a un’altra storia di integrazione mancata. Perché?
«Direi che siamo di fronte a uno scontro. Da una parte l’integrazione mancata dei genitori, dall’altra la ribellione della figlia contro un ordine tradizionale che le impedisce di vivere pienamente la sua vita».
L’esito è la violenza.
«Un esito quasi naturale quando ci sono famiglie che pensano di continuare a vivere secondo categorie tribali e claniche, che non si basano sulla libertà dell’individuo, mentre i figli hanno acquisito il principio di modernità».
La prima violenza sono i matrimoni combinati.
«Che rientrano nella questione dell’identità. Nelle società del Sud-Est Asiatico quell’identità si forma con la filiazione, la genealogia e l’appartenenza al clan, al gruppo, alla famiglia allargata. Il genere femminile è il primo a pagare le conseguenze di questa impostazione».
Il clan è più importante di una figlia, al punto che la si può picchiare, rapire o costringere a sposare un uomo che non ama?
«In quelle società non si può scegliere. Il gruppo prevale sull’individuo. La logica del gruppo è tale che le leggi del clan diventano totalitarie, si impongono sulla libertà dei singoli. Questo genera lo scontro e la violenza tra padri tradizionalisti e figli occidentalizzati».
Come spiega anche la complicità delle donne-madri?
«Nelle società patriarcali è inevitabile».
È accondiscendenza o paura a ribellarsi?
«Direi entrambe. La paura che il gruppo si ribelli con lei e l’incapacità di uscire da certe logiche».
Questi casi rischiano dunque di aumentare?
«Sì ma solo perché cresce il numero delle adolescenti che si ribellano. Consideri che nelle famiglie in cui vivono il concetto di adolescenza non esiste. A 15-16 anni, proprio quando si sviluppa lo spirito critico e la ribellione, gli si impone di essere moglie e madre. In Francia molti casi del genere si sono chiusi con il suicidio delle ragazze».
Ci sono predicatori islamici che alimentano questo scontro culturale?
«Non tutti, ma quelli più ortodossi e integralisti di certo».
Come si esce da questo incubo?
«In Inghilterra il Foreign Office ha creato un’unità di crisi ad hoc dopo essersi accorto che molte ragazze partivano per i Paesi d’origine d’estate e spesso non tornavano più a causa delle nozze forzate».
Che altro?
«I primi segnali di allarme li può osservare un professore a scuola. Queste ragazze hanno bisogno di ascolto. Le aiuterebbe ad aprirsi e in caso di emergenza a intervenire perché siano protette».


L’integrazione è possibile?
«Il lavoro di integrazione è difficile, ma è possibile. Dobbiamo fare di tutto per aiutare queste giovani donne. Tra i 14 e i 20 anni sono molto esposte. Loro sognano solo la normalità contro un universo familiare coercitivo».

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