Cultura e Spettacoli

«Voci, chitarre e sogni puri Ecco il beat cantato da noi»

Esce il cd Beat regeneration. «Da Pugni chiusi fino a Che colpa abbiamo noi, i brani che ci hanno cambiato»

da Milano

«Sotto una montagna di paure e di ambizioni c’è nascosto qualche cosa che non muore». Allora, se un cd inizia con questi versi (tratti da È la pioggia che va dei Rokes) vuol dire che sarà pieno di vita, di sogni e di ingenuità. E così lo hanno inciso i Pooh dopo aver lucidato di nuovo la loro anima beat per cantare dodici brani che sono la fotografia più nitida di quell’epoca: Da 29 settembre dell’Equipe 84 ai Ribelli di Pugni chiusi. «Ma non chiamatele cover - dicono loro -: abbiamo preso quelle canzoni e le abbiamo rigenerate quattro decenni dopo i favolosi Sessanta» Che anni, quegli anni. Per capirci, in Beat regeneration (che esce domani) i Pooh hanno riarrangiato e splendidamente suonato (che chitarre!) la loro gioventù, trascorsa nel vento che stava cambiando e nelle speranze che giorno dopo giorno diventavano accordi, musica, progetti. «A quel tempo abbiamo imparato i primi arpeggi di chitarra proprio dopo aver ascoltato La casa del sole dei Bisonti. E, risuonarla adesso, per noi è stata come una seduta psicanalitica, il nostro ritorno alla voglia di cambiare, di non essere come i nostri genitori».
Cari Pooh, più nostalgia o più rimpianti nella scelta dei brani?
«Di sicuro è stato l’album più difficile della nostra vita. Abbiamo dovuto prendere il toro per le corna perché era pericoloso stravolgere canzoni entrate nel Dna degli italiani».
Da Così ti amo dei Califfi a Gioco di bimba delle Orme e Un ragazzo di strada dei Corvi. Per molti, riascoltarle sarà un colpo al cuore.
«La maggior parte di quei gruppi non ha avuto la fortuna di resistere insieme come abbiamo fatto noi. Ma le nostre radici sono là, in un’epoca irripetibile. Solo chi l’ha vissuta sa che cos’è stata e se la porterà dentro per sempre».
Infatti oggi è tornata di moda.
«Il periodo degli “originali” è andato dai Beatles fino ai Police. È naturale che a tratti ritornino fuori quei grandi suoni e quegli ideali».
Ideali, territorio delicato.
«Tra il 1963 e il ’68 è accaduto un miracolo: noi giovani abbiamo capito che potevamo comunicare attraverso la musica. Come era diversa la società a quel tempo: noi dovevamo dare del “voi” ai nostri padri, pensate un po’. Da lì è cambiato tutto».
Però poi è iniziato il ’68.
«E i giovani spesso sono stati strumentalizzati. Il vento ha smesso di soffiare quando la politica è entrata nella musica: quando le sprangate hanno sostituito i figli dei fiori. I nostri, che erano sogni lunghi, si sono accorciati e, adesso, i sogni dei nostri figli non durano neanche 30 secondi».
Comunque tra sogni e politica avete scelto i primi.
«Ma abbiamo scritto lo stesso canzoni sociali perché i problemi della gente, per noi, non sono né di destra né di sinistra».
Anche questa sembra una sensazione tornata di moda: è l’attualità del beat. Non per nulla le prenotazioni di Beat regeneration sono già triplicate prima ancora che il cd fosse in vendita.
«E La casa del sole viene trasmessa persino da Radio Deejay, segno che il beat ha un’attualità incredibile ancora oggi.

Chi ci avrebbe creduto, quarant’anni fa?».

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