La voglia d’impresa degli immigrati che si sono integrati

Su un centralissimo viale della mia città, si affaccia, con due vetrine, un esercizio commerciale che non rispecchia le caratteristiche della classica tradizione nostrana, ma si specchia in una serie d’insegne dall’impronta decisamente internazionale.
Attratto dalla novità e incuriosito dalla presenza di numerosi apparenti avventori, sia all’interno che al di fuori del locale, ho voluto dare un’occhiata. Nel primo ambiente, dietro il banco, una giovane coppia di colore, intenta ad ascoltare e servire i clienti oppure a comunicare con l’ausilio di telefoni o cellulari; lungo le pareti, diverse scaffalature con esposizione di prodotti per la casa e per l’igiene personale, nonché di altri vari articoli. Nella seconda stanza, tre o quattro cabine telefoniche, occupate da utenti, del genere che, una volta, quando ancora non esisteva la teleselezione, caratterizzavano i cosiddetti centralini Sip operanti in tutte le città.
Presentandomi ai due, che, da subito, mi avevano dato l’impressione di essere i titolari o gestori del negozio, ho appreso della loro origine senegalese, della frequenza di studi universitari e del possesso di una laurea, della conoscenza delle principali lingue, ma, soprattutto, della loro iniziativa, un po’ d’anni addietro, di avviare le pratiche per le licenze amministrative ai fini dello svolgimento di un attività autonoma, nella formula ormai diffusa del franchising.
Così, da qualche tempo, i nostri amici senegalesi - chiaramente e regolarmente integratisi nel capoluogo salentino - fanno da tramite, in cambio di un’onesta provvigione, per rimesse di fondi messi uno sull’altro chissà con quanta fatica, fra le migliaia di extracomunitari venuti in Italia a cercar lavoro e migliore fortuna e le rispettive famiglie, rimaste nei Paesi di provenienza (i trasferimenti, a quanto dettomi, hanno luogo in tempo reale). In aggiunta, trattano la vendita di carte telefoniche internazionali, ecco il perché delle cabine, e di qualche prodotto di consumo.
La scena mi ha richiamato alla memoria i milioni di nostri connazionali, i quali, intorno alla fine del Diciannovesimo secolo e per gran parte di quello ultimo, hanno formato correnti migratorie – che adesso, invece, ci capita di ricevere – verso un ventaglio di direzioni le più disparate, spinti dal desiderio di pervenire a migliori condizioni di vita, esattamente come fanno, nella stragrande maggioranza se non nella totalità, gli stranieri che al giorno d’oggi giungono a stabilirsi tra noi. In particolare, mi ha dato estro per riflettere sulle “loro rimesse emigranti” che affluivano in Italia a fiumi, allora tramite le banche e gli uffici postali, piccoli e continui tesori che, oltre a costituire la fonte per il mantenimento ordinario d’eserciti di famiglie, creavano la base di risorse per avviare ad una professione i figli o per far sposare le ragazze.
Insomma, non c’è che dire: cambiano i tempi, si alternano i protagonisti, ma certi meccanismi fondamentali e naturali rimangono sempre gli stessi.
- Lecce

Caro Boccadamo, ho sempre ammirato chi lascia tutto e ha il coraggio di ricominciare. I suoi senegalesi hanno scommesso sul lavoro, sulla fatica, sul commercio, sugli investimenti. È vero, ricordano i nostri vecchi. Molti italiani sono andati all’estero per lavorare, qualcuno per malaffare. È questo il problema, ieri come oggi. Chi viene qui per lavorare e accetta i nostri valori è benvenuto.

Gli altri, fuori.

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