La voglia di nucleare contagia sei Paesi arabi

Gian Micalessin

L’Iran ha aperto la strada, i paesi arabi lo rincorrono. In Medio Oriente la voglia di nucleare è sempre più forte, sempre più contagiosa. Lo rivela un allarmante rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, secondo cui almeno sei Nazioni dell’area hanno già annunciato l’intenzione di procedere alla costruzione di reattori nucleari. In cima alla lista vi sono due potenze regionali come Egitto e Arabia Saudita. Subito dietro premono Algeria, Tunisia, Marocco ed Emirati Arabi.
Tutti ovviamente dicono di aver bisogno dei reattori soltanto per scopi pacifici, evidenziano la legittima necessità di produrre energia pulita e negano qualsiasi ambizione militare. La posizione, assolutamente identica a quella assunta dall’Iran, è un segreto di Pulcinella. Dietro quelle ambizioni energetiche molti osservatori individuano la voglia di competere con l’Iran sciita e di rompere il monopolio atomico regionale detenuto, pur senza dichiararlo, da Israele. Nè la Corea del nord, né il Pakistan, né l’India hanno dimostrato, del resto, di saper resistere alla tentazione dell’arma atomica. Dunque perché dovrebbero farlo le nazioni arabe? Soprattutto in un contesto internazionale dove la palese violazione degli accordi da parte di Islamabad e Nuova Delhi e la corsa al nucleare di Corea del Nord e degli iraniani non ha prodotto nessuna seria contromisura occidentale. La violazione delle norme internazionali è sembrata, anzi, conferire ai paesi trasgressori uno status privilegiato e protetto. Dunque, dicono gli arabi, avanti tutta con il nucleare. Secondo il vice direttore dell’Aiea Tomihiro Taniguchi, assertore della buona fede dei candidati, i sei paesi vorrebbero entrare nel club atomico principalmente «per ragioni economiche legate al costo energetico».
A smentire le anime candide dell’Aiea ci pensa Mark Fitzpatrick, un esperto di proliferazione nucleare all’Istituto Internazionale di Studi Strategici di Londra. Secondo Fitzpatrik l’improvvisa voglia nucleare araba è legata alla necessità di acquisire lo stesso deterrente militare dei propri concorrenti nella zona. Non a caso tra i sei aspiranti al club rientra persino l’Arabia Saudita. Il regno dei Saud, oltre a non avere preoccupazioni energetiche grazie controllo delle principali riserve di greggio del pianeta, si è sempre detto contrario alla costruzione di reattori. Dieci mesi d’insuccessi dell’Aiea e dell’Occidente e l’ininterrotta marcia atomica di Iran e Corea del Nord sono bastati per far cambiare idea a Riad. Il caso che più contribuisce a innescare le voglie arabe è, secondo Mark Fitzpatrick, quello della Repubblica Islamica. «Se l’Iran non avesse imboccato con tanta decisione il suo cammino - spiega l’esperto - non avremmo probabilmente visto l’accendersi di questa improvvisa corsa».


L’effetto catalizzante non è dovuto solo alla storica ostilità politico-militare tra nazioni arabe e sunnite del medioriente e Teheran capitale dell’unica potenza regionale non araba e di credo sciita. Ad aumentare i timori arabi e sunniti contribuisce l’aggressiva politica iraniana lungo l’asse Bagdad-Beirut.

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