Voli, l’emergenza è finita: hanno fatto un gran pasticcio

Il traffico aereo sta riguadagnando, faticosamente, condizioni di normalità: da oggi tutti i voli torneranno a essere regolari. Ma il settore comincia a fare i conti con quello che è accaduto: non solo in termini economici, cercando di valutare i danni procurati dal vulcano Eyafjallajokull, ma anche in termini di procedure. Si fa sempre più strada il dubbio che l’emergenza sia stata gestita male e, soprattutto, che i metodi su cui si sono basate decisioni così costose siano stati inadeguati.
La Iata - l’associazione che riunisce le principali 250 compagnie mondiali - per bocca del suo direttore generale, Giovanni Bisignani, ieri ha reso noti alcuni numeri: le compagnie hanno finora registrato 1,7 miliardi di dollari di mancati ricavi (1,26 miliardi di euro), in parte mitigati dai risparmi sul carburante, pari a 110 milioni di dollari al giorno. Oggi Bisignani incontrerà a Bruxelles i commissari Ue ai Trasporti, Siim Kallas, e al Clima, Connie Hedegaard. Sarà formalizzata la richiesta di compensazioni per le compagnie aeree, sul modello usato negli Stati Uniti dopo l’11 settembre, quando Washington accordò aiuti per 5 miliardi di dollari. In questo caso Bruxelles dovrebbe autorizzare interventi dei governi. Bisignani chiederà anche un pacchetto di misure diverse: regole meno rigide sugli slot, la rimozione delle restrizioni ai voli notturni e una revisione delle norme sull’assistenza ai passeggeri nel caso di situazioni di forza maggiore.
Ma le polemiche vanno oltre al danno. La Iata lamenta che le decisioni siano state prese sulla base di norme inadeguate: i modelli elaborati dagli istituti di vulcanologia incrociati con i dati meteorologici vengono considerati un metodo sorpassato e poco attendibile. Andrebbero incrociati - sostiene Bisignani - con prove empiriche da effettuare con appositi aerei-laboratorio, come attualmente si fa negli Stati Uniti, dove poi le autorità decidono quali spazi aerei chiudere e per quali lasciare la decisione alle compagnie. Un’altra accusa viene rivolta ai ministri dei Trasporti europei, che si sono riuniti in call conference soltanto a cinque giorni dall’inizio dell’emergenza.
Ma - come avviene quando si devono mettere in atto i principi di precauzione, per esempio nei casi di epidemie - le voci non sono univoche. Si ricorda, per esempio, che nove anni fa un Dc8 della Nasa attraversò per un centinaio di chilometri una nube provocata da un vulcano islandese. Nessun problema fu percepito nell’immediato, tanto che l’aereo continuò il suo lavoro per altre 60 ore di volo. Rientrato alla base furono però accertati danni per 3 milioni di dollari.
In conseguenza di questa crisi si agirà in diverse direzioni. L’Icao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’aviazione civile, rivedrà i parametri di valutazione dei rischi. «Al momento non è indicato a quali i livelli di concentrazione le ceneri possano danneggiare i motori - ha detto il capo dell’Icao, Roberto Kobeh -. Non possiamo inventarci i parametri, dobbiamo stabilirli con le industrie». Il problema quindi investirà anche i costruttori: oggi i collaudi prevedono prove sui motori riguardanti l’ingestione di acqua, di ghiaccio e di uccelli, senza le quali non vengono ottenute le certificazioni. La cenere vulcanica attualmente non è prevista: è certo, a quel punto, che lo sarà. Infine, sarà sicuramente accelerata la formazione di un cielo unico europeo, di cui si discute invano da vent’anni, e che ora viene annunciato per il 2012.

Ma in questi giorni si è fatta strada un’interpretazione: Eurocontrol, l’organismo di controllo continentale, avrebbe favorito la chiusura degli spazi aerei europei perché non fossero danneggiate solo Germania e Gran Bretagna, le più investite dalle nube. Se così fosse, si dovrebbe ammettere che le logiche di un cielo unico esistono già, ma a danno della concorrenza.

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