Politica

Voli a terra, tutti in balia di una statistica

Chi viaggia e chi no lo decide un computer. Né la scienza, né il vulcano, ma un calcolatore che elabora numeri e proiezioni per indicare al mondo dove passa la nube del vulcano Eyjafjallajokull. Statistica, quindi. Cioè una scienza sì, ma non esatta per sua natura. Abbiamo visto scene apocalittiche: gente in coda negli aeroporti, bivacchi improvvisati di manager in giacca e cravatta mischiati a turisti fai da te, abbiamo sentito le lamentele delle compagnie che dal blocco più o meno lungo degli aeroporti perdono centinaia di milioni. Ecco, sempre tutta colpa di un computer. Non è che la nube non ci sia: c’è, eccome. La vediamo ogni volta in televisione: una colonna di fumo di cenere che porta giù una specie di pioggia solida. Solo che tutto lo scenario su dove i residui di questa nube si dirigeranno lo mostra un monitor che trasforma i dati di un computer in una serie di macchie colorate. Il risiko dei nostri spostamenti e di quelli dei viaggiatori di milioni di europei è fatto di diagrammi che sembrano un elettrocardiogramma.
È il paradosso della contemporaneità: abbiamo scritto, letto e sentito che con la natura alla fine si perde sempre, però per farci sconfiggere non possiamo far altro che affidarci a un computer. L’ha detto ieri Enzo Boschi, l’ex presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. A Uno mattina gli hanno chiesto: ma come facciamo a sapere dove si dirigerà la nube? «Praticamente è impossibile saperlo. Noi scienziati registriamo i movimenti del vulcano, possiamo calcolare quanta cenere viene sprigionata, poi incrociamo questi dati con quelli dei venti e delle correnti e il computer elabora la risposta: per esempio ci dice che si sposta verso est a una certa velocità. Ma non c’è la certezza». Quindi c’è la possibilità che in realtà in Italia la nube non ci sia mai stata? «Esatto». Così come c’è la possibilità teorica che arrivi in ritardo.
La statistica è il mondo del probabile. Possiamo fare una certa cosa? Probabilmente sì o probabilmente no. La sicurezza abita altrove in discipline che non parlano di percentuali, ma di numeri certi. Prendi il caso di ieri: fino alle 14 gli aeroporti dell’Italia del nord sono rimasti chiusi per il passaggio della nube. Un passaggio teorico a questo punto. Anzi statistico. Il rischio è che il passaggio o non ci sia mai stato o ci sia stato dopo. Sostanzialmente siamo nelle mani di qualcosa di superiore: tutti pensiamo che sia Dio e invece è un computer.
Verrebbe voglia di dire che ci dobbiamo ribellare: le nostre vacanze o i nostri affari gestiti da una macchina. Perché? Fino a quando ce lo dice un essere umano esperto tendiamo a fidarci, ma se dobbiamo farci gestire la vita da un monitor, allora bisogna protestare. Mettiamo anche che teoricamente uno sia d’accordo. Poi però che fa? Chi se la prende la responsabilità di far decollare un aereo col rischio anche solo teorico che dentro i motori ci finisca la cenere? E poi: ma noi saremmo contenti di partire? È seccante rimanere a terra: non c’è niente di più noioso di aspettare in un aeroporto un volo che non parte mai. Succede con i ritardi, figuriamoci quando ti dicono che nessuno sa quando l’intero scalo ricomincerà la sua attività. Però siamo in una strada senza uscita: gli aerei che non decollano sono la maledizione di questa primavera terribile, il computer che ci dice spannometricamente che la nube è di nuovo sulla nostra testa è il nemico. Tutto vero, ma chi sono i nostri amici? È la fregatura di essere dipendenti da una vita che ha accorciato le distanze. Prima non c’era un computer a cambiare i tuoi programmi, i vulcani eruttavano lo stesso. Solo che noi stavamo a casa. Non eravamo i protagonisti di quello che i tg raccontavano.

La tv la guardavamo e basta.

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