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Voto segreto, la grande paura dell’Unione

Bressa: «Nelle urne c’è la possibilità che si riversino malumori». Giachetti: «Qui si rischia una Bosnia...»

Laura Cesaretti

da Roma

«Napolitano ci può piacere o no, ma se domani lo eleggiamo per noi ex Pci la conquista del Quirinale è comunque un risultato storico», sottolinea il senatore della sinistra ds Giorgio Mele. «Certo l’operazione politica non è proprio un successo: lo abbiamo presentato come un candidato che doveva allargare la maggioranza, e ci ritroviamo a votarcelo da soli. Allora tanto valeva tenerci il primo candidato...», obietta Luciano Pettinari.
Magari lui, come molti altri del suo partito, avrebbe votato più volentieri Massimo D’Alema, ma se quell’operazione non è andata in porto il risultato è comunque portato a casa, a meno di tragiche sorprese nell’urna. E ieri si è assistito al sordo braccio di ferro tra Piero Fassino e lo stesso D’Alema per aggiudicarsene il merito. Un braccio di ferro che ora rischia di scaricarsi sul governo, del quale già girano diverse versioni a seconda che si parli con dalemiani, prodiani o fassiniani: con D’Alema vicepremier unico e ministro degli Esteri e Fassino e Rutelli fuori, con D’Alema e Rutelli vicepremier e ministri e Fassino fuori, o con Fassino e Rutelli vicepremier con deleghe e D’Alema alla Farnesina. I ds avranno comunque meno dei nove ministeri previsti («Il Quirinale vale tre dicasteri», dicono i dl). Ma Quercia e Margherita appaiono uniti contro Prodi su un altro nodo: il Professore vorrebbe togliere ai rutelliani le Comunicazioni e darle al fido Di Pietro «per spezzare il duopolio Ds-Dl sulla Rai», spiega. Ma i fassiniani avvertono: «Gentiloni alle Comunicazioni non si tocca».
Ieri sera, davanti all’assemblea dei grandi elettori dell’Unione, D’Alema ha messo il suo timbro sull’operazione Napolitano («una scelta che ho fatto per convinzione») e avvertito tutti - a cominciare dai suoi - che oggi non si scherza più: «Sarebbe gravissimo se facessimo un passo indietro». Già dopo il voto di ieri mattina, che aveva visto emergere 35 schede pro-D’Alema, il presidente ds aveva fatto una ramanzina ai suoi supporter: niente più voti di protesta a me. Sta di fatto che nella terza chiama le schede dalemiane si sono assottigliate: «Ci è stato chiesto di mostrare più entusiasmo per Napolitano», scherza Caldarola.
Oggi l’Unione è chiamata a una prova che deve essere blindata e senza smagliature. Il vicecapogruppo dell’Ulivo, Gianclaudio Bressa, non nasconde qualche timore, «perché la partita del governo è ancora aperta, e nel voto segreto rischiano di scaricarsi tanti malumori». E lo stesso Prodi confidava ai suoi di essere preoccupato, «perché dall’altra parte ci arriverà poco o nulla». «E avremmo bisogno di schede votate, non bianche», annuiva il dl Soro. Giovanna Melandri rassicurava il Professore: «Sarà un successo bellissimo. E tu non devi più farti tenere sulla graticola: cerca di far giurare il governo sabato». Ma anche se Napolitano ce la farà al primo colpo («Altrimenti l’Unione diventa come la Bosnia», paventa il dl Giachetti), dalla partita «usciamo malconci», riconosce Bressa.

Perché sotto traccia si è aperta una ferita innanzitutto tra ds e Margherita, con Rutelli (e insieme a lui il socialista Boselli e il «prodiano» Di Pietro) che si sono messi di traverso al tentativo di D’Alema. E col Professore che ha fatto sponda, convocando il vertice unionista di venerdì per far emergere le resistenze interne: «E meno male che han tenuto duro», ha commentato coi suoi pensando a Margherita e Rosa nel pugno.

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