Voto unanime alla Finanziaria ma è già pressing su Tremonti

RomaSe è vero che l’onore è direttamente proporzionale al numero dei nemici, la riforma dell’Università ha un posto assicurato nel Pantheon delle leggi. Tanto utile da avere incassato apprezzamenti bipartisan, quanto osteggiata. Se si mettessero in fila tutti quelli che hanno frenato, fatto lobbying o manifestato per cassare il provvedimento che sfoltisce la giungla dei corsi, responsabilizza i docenti, rende autonomi gli atenei e regolarizza i ricercatori, ci troveremmo di fronte a uno schieramento a dir poco eterogeneo. Diversissime le motivazioni, uguale la soddisfazione per il rinvio, deciso mercoledì sera dal governo. Rinvio temporaneo, ha assicurato ieri il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, annunciando che tra un mese la soluzione, e quindi la copertura, si troverà.
Quando fu varato il disegno di legge, esattamente un anno fa, si disse che colpiva i baroni, perché prevede l’abilitazione a tempo per i professori, un tetto al rinnovo dei contratti per i ricercatori e un limite temporale - da 16 anni a otto - anche per l’incarico ai rettori. Scontato quindi - allora come oggi - il «no» dei docenti universitari, categoria per nulla disposta a modificare un sistema ritagliato più sulle loro esigenze (in molti atenei il 90 per cento delle risorse se ne va in stipendi) che su quelle degli studenti. L’associazione docenti universitari, ieri ha spiegato che il rinvio della riforma, deve essere un’occasione per fare rimangiare al ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, tutto il provvedimento. D’accordo la Cgil che sul no alla riforma conta di mobilitare un movimento «di massa». Sul fronte opposto i rettori, favorevoli perché felici di avere, insieme alla responsabilità di fare quadrare i conti, poteri effettivi.
Più difficili da capire le motivazioni dei ricercatori che, anche ieri, hanno bruciato curriculum, occupato atenei e inscenato sit-in davanti ai palazzi del potere. Il fatto è che, se la riforma è stata rinviata, è per il costo dell’emendamento che li riguarda e che avrebbe portato all’assunzione di 9.000 precari. Una scelta tutta politica, come quella degli studenti dell’Udu, filiazione della Cgil, accusata dalle altre associazioni universitarie di tarare la propria linea più sugli interessi dei professori che su quelli dei ragazzi.
Sono invece molto poco ideologici, i dubbi del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che ieri ha scherzato sul suo ruolo di cassatore della riforma con una battuta: «Vado a mangiarmi un panino alla cultura». L’assunzione dei precari costerebbe tra gli 1,7 e i 2 miliardi di euro. Il ministro ha assicurato che le risorse verranno trovate, ma tra un mese, a finanziaria approvata: «Metteremo il massimo dei soldi possibili. Nel decreto di fine anno ci sarà certamente lo stanziamento».
È chiaro che i soldi non saranno quanti ne chiede la Gelmini. E sembra di vedere un filino di pentimento persino nelle dichiarazioni dei parlamentari del Pd che ieri si sono scatenati nel proporre possibili coperture finanziarie.

Si va dal vendere le frequenze tv di Pier Luigi Bersani, al tagliare la spesa sugli armamenti di Ignazio Marino. Un’altra idea potrebbe essere tagliare il finanziamento ai partiti. Ieri il Sole 24 Ore ha ipotizzato che dietro il rinvio (o comunque a favorirlo) ci siano proprio i timori dei partiti per i rimborsi.

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