Walter schiera i candidati civetta da «rottamare» dopo le elezioni

Veltroni riapre la stagione della «sinistra indipendente»: personaggi famosi chiamati per attirare voti, ma poi ininfluenti I casi di Paoli, Strehler e Gravina

da Roma

Mica solo le ragazzine ammanicate. Ecco Massimo Calearo, ex-presidente di Federmeccanica. Perbacco! E poi il generale Mauro Del Vecchio, l’imprenditore Matteo Colaninno, il giuslavorista Pietro Ichino e lo scienziato Umberto Veronesi. «Che squadra, eh!?» gongola Veltroni. Che da esperto di cinema quale si spaccia da tempo, sa bene che i remake se non hanno possibilità di arrivare all’Oscar, hanno comunque solitamente un buon successo di pubblico.
Perchè di remake si tratta senz’altro. Un film già visto, girato per primo dal Pci alla fine degli anni ’60 per circa un ventennio; e poi, in successione, dal Pds, dai Ds, dall’Ulivo e finalmente - buon quinto arrivato - dal partito democratico veltroniano. Che alle soglie del 2010 riscopre quelli che Togliatti, riprendendo Lenin, battezzò a suo tempo come «utili idioti»: bandierine, pennacchi, o - veltronianamente - figurine Panini da inserire in lista per testimoniare l’esistenza di candidati diversi dai soliti funzionari di partito o dai dirigenti della Cgil o delle coop rosse. Spacciarli per «novità» è però un tantinello ingeneroso con chi li aveva preceduti al soglio parlamentare.
Ci sono stati fior di finanzieri come i presidenti Consob Guido Rossi e Luigi Spaventa a precedere il figlio del ragiunatt Roberto Colaninno, scalatore telecomiano con aiutino dalemiano a quanto si mormora ancor oggi; al posto dell’oncologo Veronesi erano stati candidati illustri scienziati ed intellettuali come Ossicini, Pasquino, Rodotà, Spinelli. E invece che Del Vecchio, anni fa un posto fu riservato al generale dell’aviazione Nino Pasti che poi però litigò con Berlinguer che si disse più sicuro sotto l’ombrello Nato. Un tempo li confinavano in una sorta di «riserva indiana» chiamata sinistra indipendente. Una dépendance di poco peso ma di molto lustro: ne fecero parte personalità del vaglio di Eduardo De Filippo, Natalia Ginzburg, Gino Paoli, Ferruccio Parri, Vittorio Foa, Giorgio Strehler, Antonio Giolitti. Accompagnati (il lupo perde il pelo ma non il vizio) da una sfilza di magistrati: da Onorato a La Torre, da Mannuzzo a Galante Garrone. Poi, con il venir meno della necessità di differenziare i gruppi, Occhetto e poi D’Alema cominciarono ad inserire direttamente sotto la Quercia le Carle Gravine, i Massimi Cacciari, le Gianne Schelotto, gli Antonio Cederna, le Carol Tarantelli, i soliti magistrati guidati da Luciano Violante e via dicendo.
Tra gli anni passati e questo 2008 qualche differenza ed una possibile, preoccupante, continuità si devono comunque registrare. Allora si era invitati ad entrare in lista, ma poi i voti te li dovevi conquistare sul campo per via delle preferenze. Il prossimo giro invece, Veltroni elegge direttamente chi gli pare concedendogli se non il primo posto in lista, almeno una posizione «sicura». Ancora, di diverso, è che mentre 10 o 20 anni fa, andava molto di moda la figura dell’intellettuale (vedi i vari Barbato, Fiori, Gozzini, Masina, Foa, Pintor, Minervini) e l’altroieri andavano bene i rappresentanti di «gruppi» (vedi il presidente dell’Arcigay Grillini o il fratello dell’ingegner De Benedetti o la baronessa Rosanna Cammarata), oggi Veltroni opta invece decisamente per il mondo dell’industria e della ricerca con un curioso rovesciamento dei ruoli, visto che si parte dai vertici e non più dal fondo operaio.
Di sostanzialmente analoga, c’è invece la possibilità che tutti questi «arruolati» possano non contare poi un fico secco quando verrà il momento delle decisioni irrevocabili: la sinistra indipendente spariva di scena quando Berlinguer faceva calare dall’alto la sua linea. Obbediva senza se e senza ma, prova ne sia che solo Visco e Bassanini sono riusciti ad infiltrarsi tra i tanti che correvano, nella stanza dei bottoni dell’Ulivo. Altrettanto silenziosi, i loro successori inseriti tra le fronde della Quercia, salvo ribellarsi - un po’ accade anche oggi - quando poi scoprivano che non sarebbero stati ripresentati in un collegio parlamentare. Forse, stavolta potrebbe anche andare diversamente. Ma chi ci crede che Colaninno, Veronesi e il generale Del Vecchio possano prevalere su un D’Alema al quale saltasse la mosca al naso per le tesi di cui si dicono portatori sani? Certo: bisognerà verificare passo passo quanto avverrà nel Pd.

Anche se è vero che una mutazione c’è rispetto al passato. A cercare di candidare generali, imprenditori e ragazzi vivaci, nei mitici anni ’60 così cari a Veltroni, non era l’armata progressista dell’epoca, ma semmai il Msi di Giorgio Almirante...

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