Walter il Vip si rifiuta di testimoniare: non so nulla, non mi disturbate più

Probabile che Walter Veltroni abbia avuto la vita martirizzata da decine di sveglie mattutine causa scampanellate dei Testimoni di Geova. Così, quando qualcuno gli ha parlato di testimoniare, ha risposto meccanicamente come si fa quando ti infastidiscono la domenica mattina: «No, no, grazie. Non mi interessa». Citofono riappeso, si torna a letto.
Epperò alla porta c’erano gli ufficiali giudiziari della quinta sezione del Tribunale di Palermo, che gli chiedevano di presentarsi in aula per deporre al processo per presunte infiltrazioni mafiose a Villabate. Niente da fare, il leader del Pd non aveva tempo: il gas aperto, le cavallette, una riunione con D’Alema, il libro da presentare in Liechtenstein. Insomma, Walter era occupato come il centralino delle Poste. E all’avvocato Enrico Sanseverino ha fatto pervenire una bella letterina (dopo la missiva a Berlusconi su Alitalia, la sua vena creativa sta galoppando il filone epistolare) in cui si negava gentilmente. Anzi, tanto per scrollarsi la fastidiosa gramigna di dosso, Veltroni ha aggiunto che tanto non conosce i fatti, si risparmiassero la briga di convocarlo di nuovo.
Doveroso premettere che Veltroni in questa storia non solo non è indagato, ma è pure lontano anni luce dalle ombre. È stato tirato in ballo solo perché secondo il pentito Francesco Campanella (il galantuomo che procurò i documenti a Provenzano) avrebbe fatto pressione su un consigliere Ds per agevolare la costruzione di un centro commerciale. All’interno ci sarebbe dovuto essere anche un cinema, settore nel quale opera Valerio, fratello dell’ex sindaco di Roma. Un teorema arzigogolato che nessuno ha cavalcato politicamente.
Posto il necessario garantismo, il discorso riguarda però quell’articolo 198 del codice di procedura penale per cui «il testimone ha l’obbligo di presentarsi al giudice». E Veltroni, chiamato a deporre dal difensore dell’imprenditore Paolo Marussig, a Palermo doveva andare. Questione di legge, non di opportunità politica. E poco conta se davvero di quella vicenda non sa nulla: potrebbe comunque far cadere in contraddizione gli accusatori, conoscere particolari solo in apparenza irrilevanti. Il «Testimone inconsapevole» è figura ricorrente anche nella giurisprudenza, non solo nei romanzi di Carofiglio.
Però provate voi a fare spallucce davanti a una convocazione. Un tamponamento, una zuffa tra cani, vicende sindacali: voi avete visto qualcosa e giù disagi. Gli italiani che si trovano a dover testimoniare su fatti di cui sanno poco o nulla, perdendo intere giornate di lavoro che vengono «rimborsate» con pochi centesimi (0,36 euro per i giorni di viaggio, 0,72 per quelli di soggiorno), sono parecchi. Quelli, però, se rifiutano di compiere il proprio dovere vengono rimbeccati tramite atto giudiziario e rischiano l’accompagnamento coattivo. In soldoni, vengono a prenderli e li portano in tribunale di peso. Ecco perché i comuni mortali rispondono diligenti «obbedisco».
Veltroni no. E pazienza se nella corsa al giustizialismo dipietrista anche abbia rimproverato Berlusconi per non essersi sottoposto ai sacri tribunali. Quando poi la legge gratta il suo, di capo, allora anche Walter cerca di smarcarsi. Almeno per ora. Già, perché l’avvocato difensore non demorde e minaccia la citazione con diffida.

Ragion per cui il tribunale ha fissato una nuova audizione per il 20 ottobre. Se non si presenterà, rischia di trovarsi alla porta «quattro gendarmi con i pennacchi e con le armi». Bocca di Rosa la accompagnarono al primo treno, Walter al massimo al primo tribunale.

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