Welby, prosciolto il medico che staccò la spina

Il Gup di Roma: "Il fatto non costituisce reato". Cade così l’accusa di "omicidio di consenziente" per l’anestesista Mario Riccio. Soddisfatta la vedova. Insorge il Movimento per la vita: "Non c’è stato accanimento terapeutico"

Welby, prosciolto il medico che staccò la spina
Roma - Il giudice del tribunale di Roma Zaira Secchi ieri mattina ha assolto, con formula piena, Mario Riccio, l’anestesista cremonese che staccò la spina del respiratore automatico a Piergiorgio Welby il 20 dicembre scorso. Ma in tanti, in queste ore, insorgono. Welby, secondo il giudice, aveva il diritto di chiedere l’interruzione della ventilazione artificiale che lo teneva in vita e il medico anestesista Mario Riccio, che lo sedò per poi staccare il respiratore meccanico, aveva il dovere di assecondare la volontà del malato. Queste le motivazioni del Gup che, forte anche del libro scritto da Welby e della sua lettera al presidente della Repubblica, ha ordinato il «non luogo a procedere» nei confronti di Riccio perché il fatto non costituisce reato.

Raggiante Mina Welby che in udienza è arrivata per ripercorrere la loro storia dagli anni ’70 in poi. Soddisfatto il legale di Riccio, Giuseppe Rossodivita: «La portata della decisione è sostanzialmente che il malato, capace di intendere e volere e debitamente informato, ha sempre il diritto di rifiutare qualsiasi terapia, anche salvavita. Per il medico, correlativamente, dar seguito alla richiesta del malato è un dovere imposto da norme giuridiche». Ma insorge il Movimento per la vita e, con l’associazione, anche la moltitudine di coloro i quali ritengono la vita un dono sacro e inviolabile. Carlo Casini, presidente nazionale del Movimento, ha tuonato: «Quella per Welby fu eutanasia.

Qui non c’era accanimento terapeutico, come stabilito chiaramente anche dal Comitato nazionale di bioetica. Una cosa è non iniziare una terapia che potrebbe salvare. Altro è cessarne una già in corso, atto che sicuramente porta alla morte».

Il 20 dicembre scorso, anche lo stesso Consiglio superiore di sanità aveva sottolineato: «Non sono accanimento terapeutico» i trattamenti quotidiani ai quali è sottoposto Welby. Era il primo aprile quando il gip di Roma Renato Laviola rigettò la richiesta di archiviazione per Mario Riccio procedendo all’iscrizione del medico nel registro delle notizie di reato con l’ipotesi di omicidio del consenziente, in base all’articolo 579 del codice penale. Marina Casini, ricercatrice di Bioetica a Roma, commenta, nel libro Bioetica e società scritto con il padre e una collega e che sarà presentato in anteprima al Meeting di Rimini il 21 agosto: «L’ordinanza di Laviola si segnala per la chiarezza con cui il giudice ridimensiona l’indiscussa valenza del principio di libertà di cura alla luce del principio di indisponibilità della vita umana. Il diritto alla vita nella sua sacralità, inviolabilità e indisponibilità è considerato presupposto di tutti gli altri diritti e limite per tutti gli altri diritti». Ieri Mario Riccio, dalla località di vacanza all’estero che si è concesso, ha scomodato persino Giovanni Paolo II per dire che quanto ha effettuato non è stata eutanasia. Ma lo ricorda bene anche il medico personale del Papa polacco Renato Buzzonetti: Karol Wojtyla sopportò fino allo stremo delle forze la malattia che lo consumava. E non smise mai, fino all’ultimo istante di vita, di lanciare questo messaggio di coraggio e di speranza a tutti i malati del mondo.
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