Roma - Il più ottimista rimane il premier Romano Prodi, sicuro che anche questa volta «si troverà una sintesi» con Rifondazione comunista. Ma la prospettiva di modifiche al protocollo sul welfare dettate dalla sinistra radicale continua a non piacere alle parti sociali che hanno firmato l’intesa. Ieri si è fatta sentire Confindustria con un richiamo del presidente Luca Cordero di Montezemolo, secondo il quale di margini per cambiare in Parlamento l’intesa con il governo su welfare, pensioni e lavoro, non ce n’è «nessuno».
Le acque non si sono placate nemmeno dentro la maggioranza, dove si allarga la schiera di chi la pensa diversamente da Prodi e quindi crede l’esecutivo sia veramente a rischio. «Se non c’è il protocollo sul welfare allora vuol dire che non c’è il governo», è ad esempio la tesi del ministro della Giustizia, Clemente Mastella. E questo significa che il prossimo Consiglio dei ministri non potrà che tradurre il legge l’accordo. Ma vuole anche dire che il futuro del governo dipende dal referendum tra lavoratori e pensionati che si terrà tra una settimana.
I fischi di Mirafiori hanno riportato l’attenzione della politica sulla consultazione. Complice anche un’intervista al segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani nella quale ha spiegato che la vittoria del sì al referendum «eviterà che salti il banco». Frase che tutti hanno interpretato come l’avvertimento che se vinceranno i no il governo cadrà. E che per questo ha provocato reazioni furibonde tra gli altri sindacalisti. A partire da quella del segretario Cisl Raffaele Bonanni, spaventato dall’idea che l’esito del voto sia condizionato dall’impopolarità del governo: spero che l’appello di Epifani «non lo prendano sul serio molti che magari non sono affatto d’accordo con le scelte del governo ma sono molto d’accordo con le scelte dei sindacati». Di «errore» ha parlato il segretario della Uil Luigi Angeletti. Tensioni anche dentro il primo sindacato italiano, con il leader della sinistra Giorgio Cremaschi che ha accusato la segreteria di avere «perso la bussola». La Cgil ha poi parzialmente smentito l’intervista, sostenendo che il «banco» che rischia di saltare è quello delle relazioni governo-sindacati.
Un precisazione che ha rasserenato i rapporti con la Cisl. Ma che non ha eliminato i timori crescenti nella maggioranza e nei sindacati che vedono crescere il fronte del «no» dentro i luoghi di lavoro. E che sanno come con il referendum si decida veramente il futuro del governo.
Contro questa lettura è la sinistra radicale, che sta lavorando ufficiosamente per il «no», ma che non ha interesse a fare cadere l’esecutivo Prodi. Per il ministro alla Solidarietà Paolo Ferrero, Prc, un eventuale bocciatura sarebbe solo un «campanellone di allarme». Segno quindi che il protocollo va cambiato. Tesi che il presidente della Camera Fausto Bertinotti ha sostenuto anche ieri, anche se - ha precisato - da «osservatore».
Altri, come il segretario dello Sdi Enrico Boselli, inquadrano tutto in un uno scenario più ampio e, pur non condividendo l’idea di un referendum sul governo, pensa che «il centrosinistra rischi» visto «il modo con cui siamo arrivati alla legge finanziaria, ministri che litigano», veti incrociati e la presenza di «due presidenti del Consiglio»: Prodi e Veltroni.
Variabili che Prodi non può controllare. Mentre sul protocollo si sta realmente cercando un «punto di equilibrio» con la sinistra radicale. Prc, Pdci, Verdi e Sd, puntano ormai soltanto al capitolo lavoro. E il governo si sta preparando a rendere più rigide le norme sui contratti a termine.
I sindacati stanno invece lavorando a un altra battaglia, quella - annunciata dal segretario della Cisl Bonanni - per ridurre le tasse sul lavoro. Ieri sera i tre segretari generali si sono visti per fare il punto su questo tema, oltre che sul contratto degli statali.
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