Basta la parola. E se la proferisce lui, Luciano Garofano il «mitico» colonnello spedito in pensione con le stellette da generale mentre tentava l’avventura politica (fallita), con qualche tegola giudiziaria sulla testa, ecco che gli ex subordinati si adeguano. Perché non prelevare, aveva suggerito lui, il Dna di mezza Bergamasca per trovare l’assassino di Yara? Persino tra i compagni di classe e di scuola, genitori permettendo.
Non che non ci avessero già pensato fin dall’inizio i suoi colleghi. Fin dall’inizio. A ogni interrogatorio, un riscontro. «Vuol fumare», «gradisce un caffè, un bicchiere d’acqua?». Ed ecco l’impronta genetica servita. Pronta per l’eventualità.
Ora, però, l’appello è di massa. La risposta, facoltativa, più o meno. C’è chi aderisce volontariamente, chi in caso contrario un «capello» potrà sempre perderlo.
Si è cominciato dalle persone che frequentano il centro sportivo di Brembate, quello dove Yara volteggiava nell’aria come una farfalla. Secondo indiscrezioni già settimana scorsa i carabinieri, tra la caserma di Ponte San Pietro e il comando di via delle Valli, a Bergamo, avrebbero prelevato saliva, tramite un veloce tampone, ai frequentatori della palestra più a contatto con la piccola danzatrice che sognava di diventare una campionessa: istruttrici e genitori delle ragazzine che si allenavano con lei. Si è passati negli ultimi giorni ai controlli su tutto il personale della palestra, della piscina, del centro sportivo nel suo complesso.
Primo obbiettivo quello di comparare le «identità» genetiche con quelle ritrovate su un guanto della vittima, (sul dito pollice e medio per la precisione) e che corrispondono a un uomo e una donna. Volti sconosciuti per ora, indefiniti come la sagoma di un fumetto senza tratti. Si procede per esclusione, nel buio di un’inchiesta incapace di decollare. Persino alla guardia giurata che aveva raccontato di aver sentito delle urla provenire quella sera di novembre nella zona della scomparsa di Yara, è stato fatto un «tampone».
Brembate, borgo sparso tra tanti paesotti in cui la vita delle poche anime che ci vivono scorre lenta e placida, continua a risvegliarsi nel sospetto reciproco. Il mostro è tra noi o arriva da lontano?
Il generale in pensione, da buon guru, sostiene che sarebbe il caso di prelevare il Dna di tutti gli abitanti della zona. Evidentemente partendo da un teorema certo, o quasi: ovvero che l’assassino della piccola Yara sia una persona del posto. In caso contrario anche il lavoro di screening di massa per avere nuovi profili genetici rischierebbe di tramutarsi nell’ennesimo buco nell’acqua.
Ma quanti stranieri, operai, manovali, piastrellisti, chi in regola e chi no, fantasmi arruolati in nero e mescolati nei cantieri, si muovono da quelle parti? Centinaia, per non dire migliaia.
Mohamed Fikri, il marocchino che lavorava nel cantiere di Mapello, arrestato e subito scarcerato con tante scuse, dopo la lunga pausa vacanziera nel suo Paese, starebbe per tornare in Italia. A Montebelluna, dove stanno cugino e fidanzata. Troverà ad aspettarlo nuovi sospetti, visto che come ha anticipato «Panorama» proprio lui era stato intercettato mentre pronunciava questa frase: «L’hanno uccisa di fronte al cancello», parole che per qualche strano, ennesimo mistero, non sarebbero state messe agli atti.
Di certo c’è solo una cosa. La rabbia che si autoalimenta giorno dopo giorno tra la gente.
La voglia di giustizia mescolata alla sete di vendetta. «Assassini.- Noi non molliamo e non vi perdoniamo. Se vi troviamo, vi lapidiamo. Bastardi criminali». Era scritto ieri su uno striscione appeso vicino a dove giaceva Yara.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.