Il color giallo ha tinte diverse ma quello che avvolge l’omicidio di Yara Gambirasio si fa sempre più fosco. Speranze abbattute, misteri, silenzi, piste altalenanti, indagini confuse e forse in mano a troppe polizie. Adesso l’ultima indiscrezione: sarebbe stato trovato il Dna di una persona estranea alla cerchia familiare e di amicizie della vittima. Ma le immancabili fughe di notizie stavolta raddoppiano. I Dna scovati, non si sa bene né come né dove sarebbero due: uno di un uomo, l’altro di una donna. E poi ancora, tanto per ingarbugliare un po’ di più la faccenda: la tredicenne che viveva a passo di danza sarebbe stata colpita con due armi. peccato che non si capisca di qual tipo. C’è chi parla di coltello, chi di grosso taglierino- tipo quelli che si usano nei cantieri, giusto per non scordare Mapello e gli scaltri cani molecolari- e ora le solite ignote gole profonde aggiungono pure un altro conturbante dettaglio: la vittima presenterebbe ferite lasciate da un corpo contundente. Forse addirittura una pietra.
Tanto per cambiare, come da tre mesi a questa parte, mai nulla è ufficiale. La Procura di Bergamo tace (se parla lo fa arrabbiarsi con i giornalisti), gli investigatori seguono a ruota l’ordine del silenzio. Massimo Meroni, procuratore capo laconico e criptico si limita a rispondere: «Non dico nulla perché non ho nulla da dire». Spesso basterebbe un sì o un no, giusto per fare per fare un poco di chiarezza.
In mezzo a questa ridda di mezze rivelazioni, presunti scoop, ammissioni a denti stretti e silenzi assordanti resta il fatto che due tracce di Dna possono significare tutto o nulla. Innanzitutto bisognerebbe sapere dove state individuate.
Gli anatomopatologi per via delle condizioni del cadavere, in avanzatissimo stato di decomposizione, non hanno potuto dire se i colpi letali siano stati quelli inferti con una lama o con l’altro oggetto.
Insomma regna la confusione. Lo scenario di questo delitto senza perché si fa sempre più mutevole. E chissà se il mostro si diverte anche Di certo è che è libero.
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