Yemen, le mire di Al Qaida sul banditismo

Massimo Introvigne

La drammatica vicenda degli ostaggi italiani nello Yemen è un ennesimo capitolo della guerra dichiarata dall’ultrafondamentalismo islamico all’Occidente o un semplice episodio di banditismo? Le stesse fonti yemenite danno risposte contraddittorie.
Lo Yemen è stato diviso fino al 1991 in due Stati. Lo Yemen del Nord, resosi indipendente dall’Impero Ottomano di fatto già dal 1904, è stato controllato dagli imam dello zaydismo (una branca dissidente dell’islam sciita, con elementi che la riavvicinano ai sunniti) come autorità insieme politiche e religiose fino al 1962 quando un colpo di Stato ispirato da Nasser ha proclamato la repubblica e detronizzato l’ultimo imam. Sono seguiti otto anni di sanguinosa guerra civile e a una serie di colpi di Stato, fino a quando nel 1978 l’Esercito ha nominato presidente Ali Abdallah Salih, un fervente zaydita che ha promosso una riconciliazione nazionale e instaurato elementi di democrazia, e che è al potere ancora oggi.
Lo Yemen del Sud, in maggioranza sunnita, è stata una colonia della Gran Bretagna (che ha fatto di Aden uno dei più importanti porti del mondo) fino al 1967, quando la decolonizzazione anticipata dalle rivolte dei portuali, in gran parte comunisti, ha trasformato la ex colonia nell’unico regime marxista del mondo arabo. Con la caduta dell’Unione Sovietica nel 1991, anche lo Yemen del Sud è crollato - senza violenza - e si è riunificato al Nord. Alcuni leader comunisti sono andati in esilio, ma la maggior parte è entrata nel gioco democratico nel nuovo partito socialista (Ysp) che insieme al partito Islah, ispirato dal fondamentalismo dei Fratelli musulmani, compete con il Partito del congresso di Salih in elezioni politiche condotte con moderati brogli. Le coalizioni Congresso-Islah (non più necessarie dopo le elezioni del 2003, che permettono al Congresso di governare da solo) hanno però tenuto lontani dal potere i rappresentanti del Sud (la zona più povera), dove è nato un movimento separatista che nel 1994 ha perfino trascinato per qualche mese il paese in una guerra civile. Sulle tensioni fra Nord e Sud, fra tribù rivali da secoli e fra sunniti e zayditi si sono innestate negli anni 1990 Al Qaida (con cui sono in contatto l’Armata islamica di Aden-Abyan, ridotta a pochi elementi, e il Jihad islamico yemenita), la criminalità organizzata internazionale e l’Iran, che ha ispirato un vigoroso movimento di risveglio zaydita nel Nord e un movimento, al-Shabab al-Mu'mim, che nel 2005 ha scatenato una vera e propria rivolta armata.
L’industria del sequestro di persona ha ormai superato il petrolio come prima attività economica del Paese. Migliaia di yemeniti sono stati sequestrati e liberati negli ultimi anni nel silenzio della stampa internazionale, che si è occupata solo dei casi che hanno coinvolto circa duecento stranieri. L'Anonima sequestri yemenita opera a fini di lucro, sembra godere di coperture nella stessa polizia, ed è legata a una criminalità organizzata che tuttavia gioca sul risentimento delle tribù e delle aree geografiche meno rappresentate nel governo e nel potere. Soltanto in rare occasioni la criminalità ha giocato di sponda con gli estremisti sunniti di Al Qaida (quelli zayditi almeno in teoria condannano i sequestri).

Queste occasioni potrebbero tuttavia diventare più frequenti se episodi come quello di questi giorni inducessero il governo di Salih ad arrestare il processo di democratizzazione, su cui giustamente insistono gli Stati Uniti.

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