Yemen, Obama e Brown chiudono le ambasciate

QUESITI Al Congresso si discute del rimpatrio dei detenuti yemeniti nel carcere di Guantanamo

Si chiama John Brennan, è il consigliere di Obama per la Sicurezza, e in una sola mattina, quella di ieri, è diventato uno dei personaggi più noti della Casa Bianca. Gli americani ieri mattina lo hanno visto su quasi tutte le principali reti tv. Ha iniziato sulla Cnn, è passato per Fox News, si è intrattenuto con l’Abc. A lui il presidente aveva affidato la missione di rassicurare il Paese sul dossier che ha agitato le vacanze di Natale, quello del terrorismo. Ma a sera i dubbi e le angosce superavano di gran lunga le certezze. Missione fallita, dunque. Brennan non è un buon comunicatore; parla troppo e non sempre con coerenza.
L’America aspetta da giorni l’annuncio di un nuovo raid per punire i seguaci di Al Qaida, sospettati di aver organizzato l’attentato sul volo Amsterdam-Detroit. E invece scopre che il proprio governo è sulla difensiva. Ieri, proprio Brennan ha annunciato la chiusura dell’ambasciata a Sana’a, la capitale dello Yemen, perché «ci sono segnali di un attentato in grande stile in questo Paese». La Gran Bretagna ha fatto altrettanto, mentre la Spagna ha rafforzato le misure di sicurezza. Gli altri Paesi europei, tra cui l’Italia, invece, non hanno ritenuto opportuno adottare misure particolari, almeno per ora.
Allarme giustificato o, come capita sovente dopo un errore clamoroso come quello commesso dai servizi il giorno di Natale, frutto di un eccesso di zelo? Nessuno lo sa o, perlomeno, nessuno lo chiarisce.
Ma il fatto che Al Qaida sia ritenuta ancora in grado di progettare un attentato di grandi dimensioni, dimostra che la collaborazione con il governo di Sana’a, vantata dallo stesso Obama, non funziona come dovrebbe, sebbene proprio lo Yemen sia diventato lo snodo cruciale della lotta al terrorismo.
Il comandante dell’Us Central Command, David Petraeus, è stato in Yemen nelle scorse ore e ha incontrato il presidente Ali Abdallah Saleh. Il generale ha ribadito il sostegno americano alle forze di Sana’a. Ieri Brennan non ha smentito l’ipotesi di un bombardamento sulle basi di Al Qaida, ma ha garantito che il Paese «non diventerà un secondo fronte militare» dopo quello in Afghanistan. «Il governo yemenita sta dando prova di buona volontà nel combattere i terroristi ed è pronto ad accettare il nostro aiuto, come già avvenuto recentemente». Nelle ultime settimane alcune basi del gruppo sarebbero state eliminate.
Ma non tutti a Washington sono convinti dell’affidabilità del governo di Sana’a e proprio ieri il ministro degli Esteri yemenita Qirbi ha ricordato che la collaborazione con Paesi stranieri è limitata allo scambio di informazioni e alla formazione di nuovi reparti di polizia, precisando che «l’accordo con il governo degli Stati Uniti non contempla la possibilità da parte di Washington di colpire direttamente obiettivi di Al Qaida sul nostro territorio». E se il Pentagono non può attaccare, com’è possibile punire i responsabili dell’attentato di Natale? Affidandosi soltanto alle traballanti forze yemenite?
Uno scenario non certo rassicurante, che si inserisce in un’altra vicenda, di cui si parla poco sui media in queste ore, ma molto delicata, quella del rimpatrio di circa metà dei detenuti di Guantanamo che, essendo yemeniti, dovrebbero essere consegnati proprio al governo di Sana’a, ma al Congresso alcuni parlamentari si chiedono se, visti gli ultimi sviluppi, sia il caso di procedere, mentre la Casa Bianca ancora una volta appare titubante. Come, peraltro, sulla dinamica del fallito attentato del 25 dicembre. Brennan ha affermato che «nessuno degli elementi contro l’estremista nigeriano, presi singolarmente, erano tali da far scattare l’allarme». Dunque l’errore dei servizi non sarebbe poi così grave. Ma c’è chi la pensa diversamente.

Su internet alcuni esperti sospettano che la falla sia stata provocata apposta da una delle 16 agenzie impegnate nella lotta ad Al Qaida, per rivalità interne o, più probabilmente, per richiamare l’attenzione di Obama sul dossier terrorismo, da lui trascurato durante il primo anno alla Casa Bianca. Tesi complottiste che, in mancanza di un rapporto ufficiale sull’accaduto, alimentano voci e perplessità.
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