Ci sono notizie che non vorresti mai leggerle. Figuriamoci scriverle. E quando arrivi all’ultima riga ti aggrappi alla speranza che sia tutto falso e che i giornalisti abbiano sbagliato clamorosamente. Vuoi continuare a credere a un uomo che è stato capace di unire anziché dividere, di offrire una chance di riscatto a chi non ha mai visto la luce nella sua vita, in nome di un altruismo autentico, senza connotazioni politiche; né di destra, né di sinistra, semplicemente migliore.
Ma la fonte è autorevole - la tv nazionale norvegese - e l’autore del servizio un giornalista danese pluripremiato, che ha indagato per mesi come fanno i reporter di razza, raccogliendo documenti, interviste, incrociando dati e cercando riscontri. L’accusa è grave e circostanziata: il bengalese Muahmmad Yunus, vincitore del Premio Nobel per la Pace e inventore del sistema del microcredito, avrebbe sottratto 74,5 milioni di euro alla Grameen Bank. Come un politicante qualsiasi, come un tangentaro. Con l’aggravante che quei soldi non sono stati dirottati dalle casse di un Paese ricco, ma in Bangladesh, da quelle della banca da lui stesso fondata e la cui missione é quella di dare una chance di riscatto ai più poveri tra i più poveri.
Tom Heinemann, questo il nome del giornalista, dimostra come nel 1996 Yunus abbia girato sette miliardi di taka bengalesi (circa 74,5 milioni di euro) alla Grameen Kalyan, una società di sua proprietà, che opera nel campo dell’assistenza sanitaria. La somma era stata donata dal governo norvegese - e in misura minore da quelli di Svezia, Olanda e Germania - per finanziare microimprenditori.
Proprio seguendo le tracce di queste donazioni, l’inviato danese ha potuto scoprire quello che appare come un prelievo ingiustificato. «Per sei mesi ho chiesto di poter parlare con Yunus, il quale però si é sempre negato», ha dichiarato il giornalista. Il banchiere dei poveri preferito il silenzio, verosimilmente nella speranza che il reporter si stancasse, che non trovando riscontri potesse lasciar cadere la sua inchiesta.
Invece i riscontri c’erano. E da tempo. Il governo norvegese, che, contrariamente ad altri verifica sempre come vengono impiegati i fondi donati all’estero, si accorse subito che quei milioni erano stati dirottati. Iniziò a tempestarlo di lettere, pretendendo un chiarimento. Yunus disse che dovevano essere accantonati per pagare imposte future. Spiegazione plausibile, ma non esauriente. Perché non lasciarli semplicemente in banca?
Domanda, a cui Yunus fu incapace di dare una risposta pertinente, fino al primo aprile 1998 quando si giocò il tutto per tutto: «Se la gente, fuori e dentro il paese, ostile ai progetti della Grameen Bank si impossessasse della lettera, ci sarebbero stati gravissimi problemi in Bangladesh», scrisse al presidente del Norad, l’ente norvegese per l’Aiuto allo sviluppo; il quale temendo il peggio decise di tenere la bocca chiusa, d’intesa con l’ambasciata di Oslo a Dacca e dello stesso governo del Bangladesh.
Qualche mese dopo Yunus fece ricomparire 21 dei 74 milioni di euro, versandoli nelle casse della banca, ma non i rimanenti 53 che, a quanto pare, a distanza di anni, furono trasformati in un prestito della Grameen Kalyan alla Grameen Bank, con modalità ancora una volta anomale. Per quale ragione una società attiva nel volontariato medico dovrebbe prestare una cifra così ingente a una banca? E a quale tasso?
Da tempo alcuni economisti sostengono, in perfetta solitudine, che i tassi reali applicati dal banchiere altruista non siano affatto di favore. L’inchiesta della tv norvegese sembra avvalorare i dubbi sull’effettiva utilità del micorecredito. Heinemann non si è accontentato dei dati ufficiali, ma é andato a verificare di persona. «A Jobra abbiamo incontrato la figlia della prima che ottenne un microcredito, Sufiya Begun.
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