da Roma
Però quel ragazzo ne ha fatta di strada, canta Adriano Celentano a proposito del ragazzo della via Gluck. Lo stesso possiamo dire noi di Antonio Zambrini, pianista e compositore milanese quarantenne, approdato a tenere in solo un «Concerto del Quirinale» nella Cappella Paolina con un magnifico gran coda Fazioli.
Abbiamo avuto il privilegio di seguire Zambrini fin da quando, poco più che bambino, cominciò a cimentarsi con il flauto traverso e la chitarra. Viveva in una famiglia dove la musica era di casa: e Antonio fu sollecitato a continuare. Si iscrisse al Conservatorio nel corso di composizione, si diplomò in direzione di coro, e nelluno e nellaltro caso si imbattè nel pianoforte come strumento secondario. Capì che era questo il suo vero amore, e che nel suo animo la musica non aveva distinzioni di generi, sebbene prevalesse il jazz.
Debutta negli anni Novanta in piccoli complessi attivi nei club milanesi, poi si mette in proprio. Dal 1998 al 2005 licenzia cinque cd (ora si attende il sesto), due per Splasch e tre per Abeat. Di solito lavora in trio con Tito Mangialajo Rantzer contrabbasso e (non sempre) Roberto Dani batteria, aggiungendo qua e là un sassofono, una tromba o una fisarmonica. Suoi contrassegni sono lunderstatement (perfino troppo), la concentrazione su ogni nota, la propensione a raccontare in musica storie inconcluse. La derivazione stilistica è quella dei migliori pianisti attuali: Bill Evans, Lennie Tristano (ma anche Satie e Debussy), però senza alcuna imitazione.
Ecco dunque Zambrini nella Cappella Paolina gremita di pubblico. Molti lo ascoltano in solo per la prima volta e ne intuiscono le grandi qualità improvvisative che nel gruppo possono in parte sfuggire. Esordisce con brani suoi (Waiting for Bass, Gaia), in Shorter abbandona il prediletto tempo moderato e suona Africa per il celebre collega Abdullah Ibrahim. Cresce di momento in momento lentusiasmo degli ascoltatori che ottengono un bis a tempo scaduto per la trasmissione in diretta di Radiotre.
A noi, dopo questa bella iniziativa dei Concerti del Quirinale, tocca ancora una volta il compito di far presente agli organizzatori dei concerti e dei festival di jazz che in Italia non esistono soltanto i sei o sette soliti noti.
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