«Zapatero? Dimentica la costituzione e vuole annichilire metà della Spagna»

La tv era in bianco e nero. «I programmi finivano con un Padrenostro. La bandiera della Spagna ondeggiava con una grande aquila al centro e la fotografia del generalissimo Franco in alta uniforme». Questa era l’Andalusia di Antonio Muñoz Molina, in quei tardi anni ’60, quando l’uomo non era ancora stato sulla Luna ma sognava di andarci, «quando tutto intorno c’era la netta sensazione che qualcosa di meraviglioso sarebbe certamente accaduto, ma da un’altra parte». Si andava a letto presto, il granaio era vicino alla camera da letto, e a comandare era ancora il più vecchio. Alla sera le donne stavano sedute sulle sedie di paglia davanti alle case, con gambe gonfie e scosciate. «La presentatrice compariva nello schermo quasi all’improvviso, con quel suo viso curato, gli occhi truccati strani, i capelli biondi e acconciati da extraterrestre. Guardava tutti dritto negli occhi e diceva: “Buonasera”. E noi dall’altra parte, tutti in coro, educati rispondevamo: “Buonasera a lei”». La televisione era il prodigio del moderno. Un mondo lontano, che sa di passato. «Ma non lo rimpiango».
Muñoz Molina è la Spagna che non ha paura di dimenticare. È il più giovane accademico di Spagna. È editorialista de El Pais, e nei suoi romanzi cerca i frammenti della sua terra, la guerra civile, la fuga dei marrani, la Spagna cattolica, quella anarchica, quella laica e nichilista. Sono i frammenti di un Paese in cerca d’identità. Muñoz Molina racconta ancora con quegli occhi di bambino la metamorfosi iberica, quella che non capisce l’Italia, quella troppo laica, quella di Zapatero. Lui è un moderato, antifranchista, ma di una sinistra non arroccata nel nichilismo. Il suo ultimo romanzo è Il vento della luna (Mondadori), il racconto della conquista visto da un bambino di una piccola città andalusa.
Cosa ha perso la Spagna in questi anni?
«La sicurezza nel futuro. Oggi il nostro Paese vive in una situazione particolarmente difficile. Più complicata rispetto all’Italia. Il nostro sistema produttivo ha gravissimi problemi».
Perché è fallito il miracolo economico spagnolo?
«Il sistema della speculazione edilizia è imploso. Il nostro Pil aumentava del 22 per cento l’anno, mentre la media europea era del 7».
Com’era la sua Andalusia?
«Era una terra isolata e rurale. Io sono cresciuto in un paesino dell’interno ancora più chiuso, in un mondo di contadini. In casa mia non c’erano libri, io sono stato il primo nella mia famiglia ad avere un’istruzione di secondo grado. Siamo cresciuti giocando per le strade, con grandi famiglie alle spalle, con quella sicurezza nelle piccole cose, nei valori concreti. Ma per il resto si trattava di una società profondamente ingiusta, le donne sottomesse all’uomo di casa, fosse il padre o il marito».
Ha nostalgia della sua infanzia?
«Noi tutti tendiamo a idealizzare la nostra infanzia, a ricordare le cose migliori di come erano realmente. No, ho nostalgia solo per le persone che oggi non ci sono più. Per il resto no. Siamo cresciuti con la dittatura di Franco».
Ne «Il vento della luna» lei racconta il viaggio di Armstrong con gli occhi dell’incanto. C’è ancora quell’ottimismo?
«Sì è vero. Io ho raccontato quella sensazione di meraviglia, di novità, che da noi in Spagna si è protratto durante tutti gli anni della transizione. Dal ’75 all’82 quel senso di ottimismo e fragilità si è mescolato con la paura. C’era nell’aria quella vitalità nervosa e spaventata di chi scopre per la prima volta il nuovo e ha paura di perderlo».
Anche oggi la gente ha paura...
«Sì ma è diverso. Oggi le cause sono diverse. Allora c’era un grande senso di fragilità. C’era la paura di un colpo di Stato, dell’estrema destra che minacciava di prendere il potere, il terrore dell’Eta».
L’Ira è tornata a colpire. E l’Eta?
«L’Eta in Spagna ha perso il giorno stesso in cui ha tradito Zapatero. Quando ha rotto con l’attentato all’aeroporto di Madrid, nel dicembre 2006, la tregua offerta dal governo. E oggi è molto debole, anche politicamente».
Un errore, la mossa di Zapatero?
«Ha capito che è stato un errore fidarsi dei terroristi. Anche se personalmente mi ha sorpreso la sua fiducia quasi ingenua. Tutti sanno che di un etarra non puoi fidarti».
Ora l’uomo, dopo la Luna, sogna di ricreare se stesso. Cosa pensa della biogenetica?
«Io dico che il progresso della scienza fine a se stesso non ha valore, non è niente. Io diffido della tecnica pura. E l’essere umano non è ancora capace di prevedere le potenzialità dell’innovazione. La sua capacità morale è squilibrata rispetto alla capacità tecnica. E nel futuro temo che arriveremo a un super uomo senza morale».
La Spagna è la nazione europea simbolo del laicismo?
«Solo superficialmente. In realtà non c’è vera separazione fra lo Stato e la Chiesa. I politici continuano a partecipare a riti religiosi pubblici. È ridicolo vedere il sindaco partecipare alla processione della Settimana Santa».
Lei ha detto: «La Spagna di trent’anni fa è incredibilmente lontana persino incomprensibile per le nuove generazioni». Perché?
«Perché il Paese è cambiato radicalmente. È mancata una pedagogia che spiegasse come era il passato. Che desse valore alla memoria».
Però lei critica i politici che hanno riaperto vecchie ferite. Che differenza c’è tra coltivare la memoria e riattizzare le braci della Guerra civile?
«Ciò che stanno facendo il governo Zapatero e il giudice Garzón è manipolazione politica. Il loro messaggio è falso. Politici mediocri e opportunisti che cercano di mettere in dubbio il sistema democratico che si basa sull’accordo storico firmato nella Costituzione».
Cioè?
«C’era l’accordo, si doveva perdonare. Non si può annichilare mezzo Paese, bisogna convivere anche con l’altra parte. Il problema è che manca un vero equilibrio fra il perdono e la memoria».
Si poteva parlare di guerra civile prima di Zapatero?
«Certo, vengono da me giornalisti e scrittori che mi dicono: “Hai visto? Finalmente si può parlare della guerra”. Ma è una grossa bugia. Io, 29 anni fa, ho scritto il mio primo romanzo sulla guerra. A loro fa comodo raccontare l’idea di una Spagna oscura e sottomessa che si è finalmente liberata».
Cosa non le piace della Spagna di oggi?
«Manca una cultura democratica. Manca una morale. Non c’è istruzione. Sembra che l’ignoranza sia ormai un valore. Mai come in questi ultimi anni si è registrato un indice così alto di abbandono scolastico. Si parla del 20 per cento. Non c’è più rispetto per gli insegnanti e i professori sono spesso incapaci. Io sono figlio della scuola pubblica e anche se era nel periodo franchista mi ha dato molto. Mi ha elevato socialmente. Lo sa a cosa assomiglia la scuola di Zapatero? A una festa ludica».
In Italia Mariastella Gelmini, ministro dell’Istruzione, ha restaurato il voto in condotta.
«Giustissimo. Il rispetto per le regole prima di tutto. Oggi si parla tanto dell’importanza di esprimersi, la libertà della fantasia. Spazzatura ideologica.

Senza una disciplina non si va da nessuna parte».
Qualcuno dice che la Spagna assomiglia alla Spagna di Almodóvar. È vero?
«Sarebbe una tragedia».
Non le piace Almodóvar?
«Tutt’altro. Ma è come credere che l’Italia sia quella di Fellini».

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