Se c'erano due leader europei sui quali fino a un paio d'anni fa chiunque avrebbe scommesso a occhi chiusi, tanta era la loro popolarità, questi erano la cancelliera tedesca Angela Merkel e il premier spagnolo Josè Luis Zapatero, detto «Bambi». Sembravano due totem imbattibili. Lei, la Merkel, l'immagine di una Germania granitica, seria e affidabile. Lui, Zapatero, l'idolo dei progressisti di tutt'Europa, il campione dei gay, del divorzio lampo e il pruno nell'occhio dei cattolici.
Poi ci si è messa di mezzo la bolla speculativa immobiliare e la crisi finanziaria americana, con lo tsunami che si è abbattutto sulle coste della vecchia Europa. Infine, a farci del male, abbiamo pensato noi stessi, a partire dai cugini greci. Sicchè eccoci al dunque (ed ecco spiegati anche i timori di Berlusconi di fronte agli spensierati colpi di forbice di Giulio Tremonti).
Raccontano a Berlino che l'indice di gradimento del governo tedesco è in caduta libera e che la cancelliera, leader del Cdu, veda scendere il suo rating personale sotto la soglia del 50% per la prima volta dal 2006. È quanto emerge dal sondaggio Deutschlandtrend dell'emittente tv Ard, secondo cui solo un elettore su cinque (il 20%) è soddisfatto del lavoro dell'esecutivo; il che fa sei punti in meno rispetto a un mese fa. Colpa della decisione giudicata «troppo generosa» di aiutare la Grecia, e colpa dell'euro, che ha visto arrestarsi la sua corsa spavalda nei confronti del dollaro e ripiega mestamente su se stesso. Insomma, per la Merkel si fa dura, soprattutto dopo la recente débâcle elettorale della coalizione di governo nel Nord Reno-Westfalia (Ovest) e alla luce dei risultati degli ultimi sondaggi. Sta di fatto che se si tornasse alle urne oggi, la maggioranza (Cdu-Csu, Fdp) otterrebbe solo il 39% dei voti rispetto al 48,4% del settembre scorso.
E non è finita qui. Perché non c'è solo, nell'elettorato tedesco, la delusione per i partiti al potere. Accanto a questa si profila, per sovrammercato, una acuta nostalgia per la vecchia Grosse Koalition, l'alleanza tra conservatori (Cdu-Csu) e socialdemocratici (Spd) che ha governato fino a settembre 2009. Se da una parte solo il 20% degli elettori si dichiara «contento» della performance del governo Merkel, per la prima volta ben il 58% di loro non esita a dire che preferirebbe la vecchia alleanza rosso-nera (dai colori dei rispettivi partiti) a quella attuale nero-gialla. Insomma, il malumore nei confronti del governo è così acuto che nessuno degli intervistati, a dar retta ai sondaggi, si è detto «molto contento» dell'attuale alleanza di governo, mentre il 48% ha detto di essere «non molto contento» e il 30% «niente affatto contento». E il messaggio non potrebbe essere più esplicito.
Se Berlino piange, Madrid (su cui aleggia lo spettro di elezioni anticipate) non ride. Il governo di Josè Luis Zapatero ha salvato ieri la manovra da 15 miliardi di euro per un voto, il classico «rotto della cuffia», grazie alle astensioni del partito centrista e catalanista Ciu («lo abbiamo fatto per senso dello Stato», hanno detto i deputati di Convergencia i Uniò); ma è evidente che di questo passo Zapatero e i suoi boys arriveranno in ginocchio alla prova della verità: la finanziaria di autunno. Nell'annuncio dell'astensione, il capogruppo di Ciu Josep Duran y Lleida ha lanciato un durissimo monito a Zapatero: «Non convochi le elezioni ora, perchè la cosa peggiore che può succedere in questo momento di crisi è rimanere senza governo - ha detto Duran -, ma si assuma la responsabilità del momento, faccia i compiti che le chiedono da fuori e, quando si discuterà la finanziaria, che non potrà far approvare, convochi le elezioni».
Non aver approvato la manovra avrebbe probabilmente avuto effetti incontrollabili sull'economia spagnola e sull'euro, ed avrebbe sicuramente segnato la fine dell'esecutivo.
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