Zapatero: «Con l’Eta ho sbagliato»

da Madrid

Il «mea culpa» di José Luis Rodríguez Zapatero è andato in scena alle 16.05 di ieri nel Palazzo della Moncloa, davanti al Parlamento riunito, in un unico atto che ha rappresentato il momento più difficile a quasi tre anni dalla sua elezione. Cinque minuti prima, i deputati erano rimasti in silenzio per onorare le due vittime dell’attentato terrorista Eta all’aeroporto di Madrid del 30 dicembre scorso, poi il primo ministro spagnolo ha preso la parola e ha intonato il suo solenne pentimento per essere stato così imprudente nel manifestare il suo ottimismo. Solo ventiquattro ore prima che l’autobomba lo smentisse, Zapatero era convinto di avere la situazione in pugno e di avere trovato un canale di dialogo con i separatisti baschi per mettere la parola fine a quarant’anni di terrorismo con oltre ottocento morti.
«Voglio riconoscere chiaramente l’errore che ho commesso davanti a tutti i cittadini spagnoli», ha detto il premier riferendosi proprio a quella sciagurata dichiarazione del 29 dicembre scorso, quando aveva azzardato che «la situazione era migliore, perché non esplodono più le bombe». E, invece, si era coperto di ridicolo e aveva impiegato quasi dodici ore per realizzare ciò che era successo, mentre il Paese attendeva un suo messaggio in tv e tutti gli altri esponenti del governo avevano già dichiarato che il processo di pace con l’Eta era «finito, liquidato, terminato».
L’intervento di Zapatero, ormai in caduta libera nei sondaggi, si è sostanzialmente diviso in tre punti: i motivi che avevano spinto la maggioranza socialista a iniziare il processo di pace, il lavoro svolto dal suo governo e le ragioni per cui questo è stato interrotto. «Così come hanno fatto i miei predecessori, anche io ho tentato la strada della pace», ha detto nel tentativo di ottenere uno sconto agli errori. «Con o senza dialogo, tutte le parti politiche, sono state sempre concordi nel sostenere il dialogo, con la certezza che la fine della violenza doveva arrivare senza pagare un prezzo politico. Erano gli stessi spagnoli che chiedevano la pace, quando il 24 marzo l’Eta aveva annunciato un cessate il fuoco permanente e dopo che da tre anni non vi erano più vittime».
Imprudenza, leggerezza, brama di passare alla storia? Alle scuse, Zapatero ha fatto seguire la proposta di rafforzare il Patto Antiterrorista e ampliarlo a tutti i gruppi politici: «Non solo con i 20 milioni di voti della maggioranza, ma con tutti i 44 milioni di spagnoli. Perché ora è necessario essere tutti uniti contro il terrorismo». Ma quali sono stati i risultati raggiunti con i separatisti baschi dal «tentativo» di Zapatero? Già il 23 settembre scorso, sul Monte Aritxulegi in Guipúzcoa, durante una celebrazione locale, tre incappucciati con armi alla mano avevano letto un comunicato per dire che la lotta armata proseguiva e avevano sparato in aria raffiche di mitra, prima di scomparire. Poi, il 24 ottobre una fabbrica francese di armi era stata svaligiata da un commando di «etarros», tanto che le autorità di Parigi avevano dichiarato il proprio scetticismo sui propositi di Zapatero.

«Non è possibile dialogare sotto la minaccia e gli attentati», ha detto Mariano Rajoy, leader dei popolari, ribadendo che l’unica via «è il ritorno al patto antiterroristico che lei (Zapatero) ha rotto». E ha invitato il premier a dare la prova della sua buona volontà chiedendo l’annullamento della risoluzione parlamentare che nel giugno scorso lo autorizzò, senza il consenso dei popolari, a negoziare con l’Eta.

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