Zarathustra profeta di psicanalisi

Nel romanzo «Le lacrime di Nietzsche», di Irvin D. Yalom, il filosofo, dopo lunghe sedute, cura l’angoscia del medico Josef Breuer. Con l’aiuto di un ragazzo di nome Sigmund...

Se in un film che annovera nel cast, poniamo, Dustin Hoffman e Robert De Niro, il vero protagonista della storia risulta essere, poniamo ancora, Joe Pesci o Danny DeVito, i casi sono due: o le star hanno battuto la fiacca, oppure i caratteristi sono stati così bravi da rubar loro la scena. Nella prima eventualità avremo un film mediocre girato da un regista distratto, nella seconda un film ottimo girato da un regista abile a trarre dalla sua squadra il meglio, fra l’altro (ulteriore merito) sorprendendo piacevolmente lo spettatore.
Le lacrime di Nietzsche, di Irvin D. Yalom (Neri Pozza, pagg. 425, euro 18, traduzione di Mario Biondi), è proprio così: un romanzo-film che ha nel cast, oltre al filosofo tedesco, un’altra stella di prima grandezza: Sigmund Freud. Però il protagonista è Josef Breuer. Definirlo caratterista farebbe giustamente infuriare psicologi e psichiatri. Ma qualche parola di presentazione, per tutti gli altri, è d’obbligo.
Il viennese Breuer (1842-1925) fu uno dei primi medici a trattare l’isteria con l’ipnosi. Fra le sue pazienti, una bellissima ragazza di nome Bertha von Pappenheim (1859-1936). La quale non è passata alla storia per aver fondato e diretto una residenza per orfane ebree, o per aver creato la «Lega delle Donne Ebree». No, l’affascinante Bertha, ribattezzata «Anna O.» da Breuer in ossequio alla privacy, è il caso clinico che segna la nascita della psicanalisi. Proprio interessandosi a lei tramite il caro amico Josef, infatti, Freud mise in moto il colossale sommergibile a bordo del quale s’inabissò fra i gorghi dell’inconscio. Bertha-Anna divenne, per dirla con l’efficace espressione rilanciata da Yalom nel romanzo, la prima persona che, colpita da turbe psichiche, si mise a «spazzare il camino» sotto la guida del medico curante. Ora, si dà il caso che il medico curante in questione, cioè il nostro Breuer, prese talmente a cuore le sorti della signorina da far perdere le staffe alla moglie Mathilde, tranquilla casalinga dedita ai cinque figli e alla casa e del tutto disinteressata al «camino» della rivale...
E qui entra in gioco Yalom. Nel senso che, da buon conoscitore dei meccanismi della mente, anche di quella dei lettori (insegna psichiatria alla Stanford University ed esercita a Palo Alto, California), ha fatto leva su quella crisi coniugale per mettere in scena uno psicodramma. Ha dapprima chiamato a consulto il collega Freud. Ma quest’ultimo, all’epoca in cui si svolgono i fatti (dicembre 1882) era soltanto un ventiseienne di belle speranze specializzando all’Ospedale Generale di Vienna... Chi poteva dar man forte al ragazzo nello sbrogliare la matassa del povero Breuer, ormai condannato a svestire i panni del medico per indossare quelli del malato? Ma certo, l’uomo giusto da collocare al posto giusto era uno strambo filosofo tormentato dall’emicrania e dalla volontà di potenza, un pensatore dagli enormi baffi, solitario e lunatico che, licenziatosi nella primavera del 1879 dall’Università di Basilea dove insegnava filologia, vagava come un fantasma per l’Europa. Proprio lui, Friedrich Wilhelm Nietzsche, 38 anni, figlio di un pastore luterano. E futuro padre dell’Anticristo (1888). Quanto a turbe, ne aveva da vendere. E con quella voce stentorea che risuona dagli aforismi al fulmicotone dei suoi libri era perfetto come dramatis persona da contrapporre ai dubbi e agli incubi del doktor Breuer.
Però... c’era un però. Nietzsche d’inverno era solito inseguire il clima mite sulle amate sponde del Mediterraneo, patria diffusa dei maestri greci ai quali tendeva il suo spirito apolide e dionisiaco. Mai e poi mai per libera scelta si sarebbe ficcato nelle brume viennesi... Insomma, la macchina narrativa di Yalom era pronta. Si trattava di farla partire. Ci voleva la chiave. Ma chi ha la chiave? Un’altra donna (le donne risolvono sempre i problemi che non sono loro stesse a creare). Si chiama Lou Salomè. Bella come e più di Bertha, è nata a Pietroburgo nel ’61. Sicura di sé, maliarda, intelligente: a 21 anni, una dark lady in piena regola. Ha conosciuto Nietzsche pochi mesi prima, a Roma, in San Pietro. Lui, colpito dal più classico dei fulmini, le disse, appena incrociato il suo sguardo: «Cadendo da quali stelle siamo stati condotti l’uno incontro all’altro?». Caduto come una pera cotta da una stella troppo alta, la stella dell’illusione, il filosofo si era letteralmente sfracellato. E la sua anima si ridusse in poltiglia quando capì che la gatta capricciosa, nella quale peraltro ritrovava alcuni tratti del suo carattere, se l’intendeva con il comune amico (si fa per dire...) Paul Reé. Giusto il tempo di chiederla in sposa e di darle un bacino durante una gita sul lago d’Orta e poi stop. Fine del discorso amoroso.
Bene. Individuata la proprietaria della chiave, Yalom la mette subito, cioè all’inizio del romanzo, in contatto con Breuer. Caro dottore - è il senso del discorsetto che la signorina fa al nostro eroe - c’è un mio amico pesantemente fuori di testa al quale forse lei potrebbe dare una mano; si definisce «filosofo postumo», sta progettando un libro intorno a un profeta, tale Zarathustra, che decide di illuminare l’umanità... veda se riesce a curare la sua disperazione, mi fa un po’ pena. Breuer, dopo qualche tentennamento e dopo aver messo il brillante Sig al corrente della cosa, accetta. Via, si parte.
Yalom ha buon gioco nel trasformare Nietzsche da paziente in guaritore. Attinge ad alcune sue frasi celebri, modella la sua personalità su quella dell’analista-analizzato Breuer. E fa di Freud il trait-d’union fra i due, sottolineando come le idee del promettente ragazzo siano già presenti nell’opera titanica dell’umano, troppo umano pensatore che il buon Josef fa ricoverare in una linda stanzetta sotto il nome di Eckart Müller. Le signore, intanto, si defilano: Mathilde prepara manicaretti e si macera nell’inquietudine; Bertha è presente soltanto in spiritu; Lou se ne lava le mani e va per la sua strada. Le discussioni sull’Angst, l’angoscia, male del secolo al tramonto e di quello che verrà, sono cose per uomini. «Certe volte - afferma Nietzsche - i maestri devono essere spietati. I messaggi spietati devono essere comunicati perché è la vita a essere spietata, come lo è la morte». Vivere al sicuro è «pericoloso e mortale».
Poco a poco, Breuer elabora i propri sogni e quelli del suo Virgilio baffuto che lo conduce nei gironi della psiche. E, alla fine, trova la soluzione per salvare il proprio matrimonio. Una soluzione di maniera, borghese, compromissoria. Ma l’unica consentita alla sua natura. La vita, nell’uggiosa Vienna del 1882, va avanti. Mentre Eckart Müller si pettina i baffoni e già tende la mano tremante a quella, ferma e paterna, di Zarathustra.

P.S. Segnaliamo un refuso. Malwida von Meysenbug, amica di Nietzsche e autrice di Ricordi di una idealista, si scrive senza la «r» prima della «g». E poi due incongruenze probabilmente dovute al traduttore.

Di romanzi «gialli» nel 1881 non si poteva parlare, visto che la collana mondadoriana caratterizzata dal colore giallo delle copertine era ben di là da venire. Né si deve parlare di «bigini», per lo stesso motivo. Infine, il libro di Yalom (titolo originale When Nietzsche wept), è del 1992 e uscì da Rizzoli nel ’93 col titolo E Nietzsche pianse, sempre tradotto da Biondi.

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