Zingari ma con un tesoro da 10 milioni: sequestrato

L’Aquila Auto di lusso, conti correnti, ville, appartamenti e terreni. Un tesoro da oltre 10 milioni di euro nelle mani di una famiglia di zingari. Da ieri, però, un po’ più povera.
I carabinieri hanno infatti sequestrato nelle province di Teramo, Macerata e Ascoli Piceno le proprietà del clan Di Rocco, famiglia rom che da anni vive e opera sul litorale teramano. Secondo gli investigatori del Ros, i beni del clan sarebbero frutto di attività illecite che vanno dal traffico di stupefacenti, all’usura, alle estorsioni.
Il provvedimento di sequestro anticipato, finalizzato alla confisca, chiesto dal sostituto procuratore David Mancini ed emesso dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Teramo, riguarda ben sedici appartamenti, tra cui una villa di 15 stanze a Giulianova Lido (Teramo), tre terreni, quote societarie e licenze di attività commerciali, un ristorante-pizzeria a Porto Sant’Elpidio (Macerata), un pub e un negozio di abbigliamento a Martinsicuro (Teramo), 21 automobili, oltre a ricchi conti correnti bancari e postali.
L’operazione ha portato alla «spoliazione» dei beni dei componenti di quattro famiglie di etnia rom, imparentati con i coniugi Fiorello Di Rocco e Clorinda Ciarelli: oltre 200 carabinieri hanno eseguito i sequestri, allontanando dalle abitazioni gli occupanti, oltre un centinaio di persone.
Per fare in modo che tutto si svolgesse nella massima tranquillità, i militari del Ros, dei comandi provinciali di Teramo, L’Aquila, Chieti e Pescara, dell’11° Battaglione «Puglia» di Bari e dell’elinucleo di Falconara Marittima (Ancona), hanno collaborato con vigili del fuoco, polizie municipali, servizi sociali, carri stradali e ambulanze del 118. I beni sequestrati non sono stati affidati in custodia, ma posti sotto sigilli.


Tutto era cominciato con un’inchiesta che nel novembre del 2007 portò all’arresto di 11 persone accusate di detenzione a fini di spaccio di stupefacenti, usura e altri reati che, secondo i militari, costituivano fonte di reddito da reinvestire in immobili e operazioni societarie.
Insomma, il denaro «sporco» veniva ripulito investendolo in attività lecite.

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