Zlatan mercenario, Kakà angelo devoto

Le parabole parallele, ma differenti offerte da mercato e dalla cessione dei due campioni di Milan e Inter

Zlatan mercenario,  
Kakà angelo devoto

L’Angelo e lo Zingaro, più o meno, valgono 70 milioni a testa. È l’unica cosa che li accomuna. L’Angelo è già volato via, rapito da un bruto che gli recapiterà sul conto corrente oltre 9 milioni l’anno per almeno cinque anni (ma che cosa sono cinque anni nell’alto dei cieli?). Se n’è andato con l’accompagnamento di innumerevoli violini sintonizzati sulle note del rimpianto e dell’adorazione, manco fosse Gesù Bambino in persona. Lo Zingaro, invece, fatica a librarsi nell’empireo delle Motivazioni per colpa di una zavorra da un milione al mese.

L’Angelo missionario Kakà, materializzatosi lo scorso gennaio alla finestra della sua stamberga milanese con in mano una maglietta rossonera, si è immolato sull’altare del Pareggio di Bilancio. E il suo sacrificio ha commosso l’Italia intera. Lo Zingaro mercenario Ibrahimovic, invece, con i suoi «vedremo», «aspettiamo», «speriamo» sparati in faccia a chiunque gli chiedesse «allora, rimani?», ha irritato la stessa Italia, alla quale non è parso vero di poter prendere a male parole uno che guadagna cifre da manovra finanziaria.

L’Angelo avrà a disposizione, per lenire in parte il dolore dell’esilio forzato nella plumbea e monotona Madrid, un tempio fatto erigere da Carolina, la sua signora. Lo Zingaro, invece, conosce una sola religione, quella del dio Euro, ben più potente dell’Odino che lui, scandinavo sui generis, forse nemmeno ha sentito nominare.
L’Angelo, quando arrivò dal Brasile, nel 2003, aveva la faccia di un bocconiano venuto qui per uno stage. Lo Zingaro, invece, quando arrivò da Torino, nel 2006, aveva la faccia del gigolò che ha appena lasciato la donna di turno con una scusa qualsiasi per gettarsi, un minuto dopo, fra le braccia di una ricca e attempata ereditiera.
L’Angelo, quando faceva gol per il Milan, indicava con insistenza il cielo come a dire «no, ragazzi, non è merito mio, che cosa applaudite a fare?». Lo Zingaro, invece, indicava zone... un po’ più basse, quelle dove adesso certe cose girano vorticosamente a un altro pover’uomo, costretto improvvisamente a cambiare mestiere: da showman ad allenatore di calcio.

L’Angelo piace a tutti, è un «prodotto per famiglie». Lo Zingaro non piace a nessuno, nemmeno a quelli che, per merito suo, hanno vinto tre scudetti di fila. Perché l’Angelo ha agito per il bene del Milan, lo Zingaro, al contrario, agisce in odio all’Inter. L’Angelo ha per procuratore il papà ingegnere, che di nome fa Bosco, e che proprio come don Bosco amava occuparsi di disagiati sul tipo di Adriano Galliani, alleggerendolo del peso di alcune pecunie, altrimenti dette, non a caso, «sterco del Diavolo». Lo Zingaro, invece, per procuratore ha un ex pizzaiolo di Nocera Inferiore buono per tutte le quattro stagioni, ma soprattutto per l’estate che notoriamente è il periodo in cui si miete il grano.

Quando l’Angelo e lo Zingaro, pochi istanti prima del prossimo Real Madrid-Barcellona, si guarderanno in faccia, nel tunnel che conduce al campo, scoppieranno in una sonora risata d’intesa, mentre qui, in Italia, sintonizzati su Sky o su Mediaset Premium, milanisti e interisti si accapiglieranno come al solito.

Chi per primo farà gol? Chi per primo strapperà il contratto «in essere»? Chi se ne frega, tutto sommato. Loro resteranno per sempre l’Angelo e lo Zingaro. Anche il pallone, che pure è sferico, ha due facce, come le medaglie. D’oro, d’argento e di bronzo.

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