La zona franca degli ultrà

Se, passeggiando, incrocio un poliziotto il cui sguardo non mi va a genio o che disturba il mio senso estetico perché ha perso un bottone della divisa o ha un alamaro storto, mi avvicino e gli mollo un cazzotto sui denti rischio l’arresto immediato, il processo per direttissima e dai sei mesi ai tre anni di galera. Se vado alla partita con una decina di amici e, entrando o uscendo dallo stadio, mollo un cazzotto a un poliziotto non rischio niente.
Da sempre i luoghi di culto del calcio italiano vengono considerati territorio franco. Ma non solo dagli ultrà cui tutto ciò fa assai comodo bensì dai politici, dalla magistratura, dalle società, da tutti. Sembra che ciò che avviene sugli spalti o nelle immediate vicinanze degli impianti sportivi non abbia, anzi non debba avere, alcuna rilevanza penale. È diventata ormai una storia vecchia. Che nessuno, finora, ha mai tentato di risolvere davvero.
È un po’ come la lotta all’evasione fiscale. Tutti le dichiarano guerra ma siamo ancora in attesa dell’evasore in manette. E, capito che i rischi che corrono sono irrisori, le tifoserie - le frange ultrà delle tifoserie - si sono andate via via incarognendo. Negli stadi italiani il morto è sempre dietro l’angolo: basta poco per accendere gli animi e incendiare gli spalti. Dai cancelli passa di tutto: dai bastoni (sono innocue aste di bandiere, basterebbe vietare le bandiere, solo striscioni, fazzoletti e sciarpe assai meno contundenti) ai motorini, dalle bombe carta alle catene (magari usate come cinture, tanto per non dare nell’occhio) a razzi, petardi e fuochi d’artificio di vario genere e calibro. Anzi, spesso, molto spesso, tutto ciò non deve neppure essere introdotto negli stadi, si trova già negli stadi in veri e propri depositi a uso e beneficio degli ultrà che così non rischiano nulla durante un’eventuale, ma abbastanza improbabile, perquisizione.
Se proprio va male e qualche tifoso viene beccato in flagrante e viene portato in questura, passa una notte in cella e il giorno dopo viene rilasciato. I reati da stadio non hanno mai scaldato i magistrati. Lo stesso Borrelli che oggi è capo dell’Ufficio inchieste della federcalcio e propugna la tolleranza zero verso chi esce dalle regole, che cosa faceva contro gli ultrà di San Siro quando era líder máximo della Procura milanese?
La realtà è che c’è stata finora se non una connivenza quanto meno una specie di entente cordiale fra polizia e ultrà, fra magistrati e ultrà, fra politici e ultrà, fra società di calcio e ultrà. Gli ultrà, oggi, condizionano letteralmente la vita di alcuni club. Prendiamo gli ultimi esempi. A Livorno il presidente Spinelli non ha potuto licenziare l’allenatore Arrigoni perché gli ultrà - pare in questo caso d’accordo con un giocatore - hanno minacciato fuoco e fiamme. A Messina è successo l’opposto. Il presidente Franza non voleva licenziare il tecnico Giordano ma è stato costretto a farlo per le pressioni degli ultrà. Durante Lazio-Roma nel 2004 fu consentito ad alcuni ultrà di entrare in campo, di parlare con i giocatori e di convincerli della necessità di sospendere il derby nonostante il prefetto fosse di parere opposto. Sempre a Roma sono finiti in carcere alcuni ultrà laziali che hanno cercato con ogni mezzo di convincere Lotito a cedere la società a Chinaglia.
Certo stavolta c’è scappato il morto, un poliziotto. E allora l’indignazione è altissima e, ne siamo convinti, anche sincera. I «Basta», «Così non si può andare avanti», «Il calcio è morto» si sprecano. Giustamente sono stati bloccati i campionati e non si sa quando e come ripartiranno. Tutti dicono, tutti urlano, che servono leggi speciali, provvedimenti straordinari, misure drastiche e draconiane per debellare una volta per sempre questa piaga del nostro calcio. Ci auguriamo che succeda davvero. Molte però ci sembrano lacrime di coccodrillo. Come si può deprecare la violenza su quelle stesse televisioni e su quegli stessi giornali dove ormai il calcio viene offerto come una vera e propria guerra; dove non si fa altro che urlare e strepitare contro questo e contro quello, dove si dà voce soltanto a chi strilla di più. Cos’è questo se non incitamento alla violenza? E con che faccia presidenti che quasi ogni domenica, di fronte al minimo torto arbitrale (tutti zitti però davanti ai piaceri arbitrali) escono dagli spogliatoi urlando: «Ci vogliono mandare in B, noi non ci stiamo» oggi dicono che ci vogliono leggi speciali. E con che faccia lo fanno quegli allenatori che saltano come molle ad ogni fischio, che urlano e gesticolano contro arbitri, guardalinee e quarti uomini. E con che faccia quei giocatori che si rotolano a terra come se fossero stati travolti da un Tir senza che nessun avversario li abbia neppure toccati. E quei politici che si sono opposti all’arresto in flagranza differita per i reati commessi negli stadi?
Ci auguriamo davvero che stavolta cambi qualcosa. Siamo convinti che, se ci fosse la volontà politica di debellare questo fenomeno, nel giro di un anno l’aria dei nostri stadi potrebbe tornare ad essere respirabile. Ma siamo scettici. Sono anni che sentiamo parlare di sicurezza negli stadi, abbiamo visto la situazione non migliorare, non peggiorare ma degenerare.

E non è mai stato fatto niente. Ci sono stati altri morti e nessuno ha mosso un dito. Ci sono stati tanti incidenti e non è mai cambiato nulla. Perciò siamo scettici. Ma amiamo il calcio e ci auguriamo di essere smentiti.

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