Massì, ma dai, erano tutti lì che non ci credevano. Ma come, arriva Zucchero a Brescello dove sessant’anni fa hanno girato i cinque film di Peppone e Don Camillo e si siede proprio alla scrivania che Gino Cervi usava sul set per battere a macchina i suoi discorsi da sindaco del tipo «il partito impone che...», «la congiura reazionaria», «il capitalismo padrone» e vai con il dizionario (mica tanto) vetero comunista. Atmosfera giusta, già si pregustava il titolone. Poi addirittura lui dice che «mi sento sempre come Peppone» e quindi era quasi certo: ci siamo con l’attacco a Berlusconi. Il momento, poi, è quello giusto, sapete il bunga bunga e tutte quelle cose lì. Invece ciccia. A puntuale domanda, Zucchero, quello che non le ha mai mandate a dire, si stringe nelle spalle e dice: «Sicuramente preferisco le persone goliardiche alle mattonate irreprensibili».
Occhi spalancati: ma come. Già: «Non vedo questo grande casino se a uno piacciono le donne». Insomma, Zucchero, uno che solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’azione cattolica, proprio lui, fa quello che bisognerebbe fare, ossia mantenersi equilibrati, non sprofondare nel qualunquismo a tutti i costi. Specialmente se non si conoscono bene i dettagli. E difatti lui dice puntuale: «Non li conosco». Però conosce ciò che pensa la gente, anche all’estero: «Sai cosa mi dicono? In Italia d’altra parte non ci sono alternative a Berlusconi».
E poi aggiunge, mica a caso: «Conosco Prodi, conosco Sircana con cui ho anche suonato la chitarra e magari su di loro potrei esprimere un parere. Ma Berlusconi non lo conosco e non mi sento di giudicarlo. Come faccio a dire la mia opinione se non conosco la persona?».
Elementare, Watson.
Bada bene, non è un’assoluzione. Ma nemmeno una condanna. È il parere di una rockstar che non si è mai tirata indietro e lasciamo perdere l’ossessione di chiedere sempre alle rockstar i pareri politici (cosa che accade solo in Italia e solo con i cantanti: c’è qualcuno che chiede a Cassano o a Del Piero che cosa vota? Suvvia). Insomma, alla fine è il pensiero di un cantante dichiaratamente di sinistra, presumibilmente neanche favorevole a Berlusconi, sicuramente abituato a dirne di cotte e di crude senza farsi troppi problemi. L’archivio è pieno zeppo: frecciate al Festival di Sanremo, battutine a Vasco (forse), polemica su Jovanotti e la canzone del dopo terremoto a L’Aquila. E sono solo le prime che vengono in mente.
Esplosivo e davvero rock, Zucchero ha sempre parlato chiaro, ha scatenato polemiche e talvolta - come dice il gergo dei maligni - l’ha anche fatta fuori dal vasino pagandone pure le conseguenze (ricordate Striscia?). Perciò non è mai stato iscritto al campionato di diplomazia. E oggi, capirete, sarebbe una passeggiatina guadagnarsi una standing ovation facile facile con un paio di battutine precise sul caso Ruby. Ma niente. Un commento, questo sì, pacato e obiettivo. Perciò la notizia è una non notizia: Zucchero non ha sparato contro Berlusconi, non è entrato nel coro, non ha cercato l’applauso gratis. Delusione collettiva, bisogna ammetterlo.
Comunque.
Quasi quasi il paradosso è che oggi, visto il tempo politico che fa, sia proprio una rockstar non di primo pelo, uno che tanti anni fa ha persino fatto arrabbiare un’acqua cheta come Mogol, a dare una lezione di equilibrio. Volendo, è stato ancora più rock del solito. Ossia più trasgressivo. Ha evitato il luogo comune, si è mantenuto sottovento annusando il conformismo un tanto al chilo che ormai va così di moda e comunque - nel caso Berlusconi - guadagna sempre paginate e titoloni ben strillati. E, per dirla tutta, presentando ieri il suo sorprendente nuovo disco Chocabeck, prodotto da santoni del rock come Don Was o Brendan O’Brien e zeppo di collaborazioni gallonate come quella con Bono degli U2 o Brian Wilson dei Beach Boys, lui si è anche messo a commentare il verso «Ho visto fedi false fare solo guai» (da Il suono della domenica) azzardandosi persino a parlare della Palestina.
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