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Il «clan» di Dario in Calabria travolto dalle inchieste

Predicare bene, razzolare peggio. L’ennesimo capitolo dell’imbarazzante questione morale che agita il Pd in Calabria è dedicato ancora una volta al leader del partito democratico, Dario Franceschini, quello che in queste ore straparla di regime e minacce alla libertà di stampa. Dopo il caso del capogruppo Pd alla regione Calabria, Nicola Adamo, sott’inchiesta in due diversi procedimenti penali ma nominato ugualmente coordinatore regionale della mozione del segretario; dopo quello dell’ex assessore regionale alla Sanità, Doris Lo Moro, interrogata dalla commissione parlamentare d’inchiesta che indaga sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali e poi, una volta eletta deputata col Pd, nominata dal partito commissario proprio in quello stesso organo che indaga su di lei; dopo il caso del direttore generale dell’azienda sanitaria di Cosenza, Franco Petramala, arrestato nel 1994 quand’era commissario straordinario della Usl di Cosenza, con l’accusa di concorso in abuso d’ufficio, turbativa d’asta e falso ideologico e poi condannato con sentenza definitiva a sei mesi di reclusione per falso in atto pubblico ma ugualmente piazzato dal Pd a capo dell’Asp cosentina. Bene. Dopo tutto ciò, spuntano altri casi che con la sbandierata moralità del Pd hanno poco a che vedere.
Il primo investe il presidente della provincia di Cosenza, Mario Oliverio, rieletto a giugno dopo il ballottaggio. Reduce da una campagna elettorale condotta all’insegna del rifiuto dei voti «sporchi e mafiosi», il 6 luglio scorso ha inserito nel suo staff Luigi Garofalo, coinvolto nell’inchiesta «Omnia» condotta dalla Dda di Catanzaro. Garofalo, su cui pende una richiesta di rinvio a giudizio per scambio elettorale politico-mafioso, era inizialmente indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, poi il gup ha chiesto che il capo d’imputazione fosse riformulato.
Nella stessa inchiesta è coinvolto il consigliere regionale Franco La Rupa, accusato di aver dato soldi agli uomini della cosca Forastefano, che domina l'alto Tirreno cosentino, in cambio del sostegno elettorale alle elezioni regionali del 2005. Garofalo, secondo i pm, era l’uomo di collegamento fra La Rupa e i Forastefano. Gli indagati sono in totale 86, trenta dei quali già condannati col rito abbreviato. Alle ultime elezioni provinciali, Garofalo, consigliere uscente, era in lista con il Psdi a sostegno del presidente Oliverio, ma non è stato eletto. Poche settimane dopo il presidente, che dice di rifiutare «i voti dei delinquenti, dei mafiosi e dei collusi» lo ha «promosso» chiamandolo a far parte del suo staff. Venuta a galla la storia, l’indagato si è detto disposto a dimettersi, ma Oliverio non si è smosso.
Altro caso caso che mette in imbarazzo il leader del Partito democratico riguarda Pietro Giamborino, consigliere regionale Pd già indagato nell’operazione antimafia «Rima». Giamborino è infatti uno strenuo sostenitore della mozione Franceschini, tanto da aver messo in campo un gruppo di giovani, i «Giamborino boys», a sostegno del segretario. Nel 2005 il suo nome è saltato fuori dopo che la squadra mobile di Catanzaro ha arrestato alcuni esponenti della cosca Fiarà di San Gregorio d’Ippona, vicino a Vibo Valentia. Quel giorno alcuni quotidiani locali riportarono la notizia che la sera degli arresti a cena col capocosca Rosario Fiarè c’era proprio Giamborino. Circostanza sempre negata dal diretto interessato che in quel periodo faceva anche parte della Commissione regionale antimafia. Uno degli uomini che in quell’occasione riuscì a sfuggire alla cattura è Giovanni Giamborino, cugino di Pietro.
Ulteriore caso scottante risale alle ultime elezioni europee, in occasione delle quali il Pd calabrese, in particolare la corrente franceschiniana, ha fatto quadrato intorno a Mario Pirillo, pupillo calabrese dell’ex ministro dell’Istruzione, Beppe Fioroni. Pirillo, sostenitore di Franceschini al prossimo congresso, ne è uscito incontrastato vincitore con ben 110mila voti. Su di lui, che si è candidato per il parlamento europeo mentre ricopriva la carica di assessore regionale all’Agricoltura, pende una richiesta di rinvio a giudizio da parte dei titolari dell’inchiesta «Why Not?». Secondo i pm avrebbe fatto parte di «un sodalizio finalizzato alla lunga serie di illeciti programmati». Pirillo, insieme a Nicola Adamo è anche un tenace difensore di quel Franco Petramala di cui sopra. E c’è di più. Val la pena di ricordare la figura di Franco Laratta, moralista della prima ora, noto per i suoi attacchi sugli sprechi all’Expo di Milano, autore di un libro con prefazione dell’amico Dario dall’eloquente titolo: «Miseria e nobiltà della politica, della società». Ad oggi, a fine mese incassa due stipendi: quello di deputato del Partito democratico e quello, altrettanto sostanzioso, di consigliere regionale (subentrato a Pirillo). Per sfuggire alle critiche l’interessato ha fatto sapere in giro che a breve si dimetterà da consigliere. I suoi detrattori sostengono invece che resterà attaccato alla poltrona, non solo per l’incarico politico e per la busta baga, bensì per evitare l’ingresso in consiglio regionale di Stefania Covello, che al contrario di Laratta appartiene alla corrente di Pierluigi Bersani.
Altro personaggio «scomodo» che mina la nuova «arma ideologica» del Pd di Franceschini riguarda Enzo Sculco, consigliere regionale, arrestato e poi condannato in primo grado a sette anni di reclusione per corruzione e abuso d'ufficio.

Sculco, sospeso dalla carica e anche dal partito, ma poi tornato fra i banchi della maggioranza in attesa del secondo grado di giudizio, è uno dei più fervidi sostenitori di Dario Franceschini, presente ogni volta che può alle riunioni della mozione del segretario. A settembre ci sarà la sentenza d’appello. Nel frattempo è impegnato a scovare voti per le primarie da portare al suo segretario.
(ha collaborato Luca Rocca)

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