Il giudice arrestato era consulente della giunta rossa

La Pasquin partecipò al viaggio in Canada della provincia di Vibo come «esperto legale»

Gian Marco Chiocci

nostro inviato

a Vibo Valentia

«L’anno 2005, il giorno 25, il mese di marzo, alle ore 12.30, nella sala delle adunanze, previa l’osservanza delle formalità prescritte, la giunta provinciale di Vibo Valentia, delibera in merito al viaggio a Toronto» per pubblicizzare «il turismo del vibonese e la degustazione di prodotti tipici». Quarantamila euro è il contributo richiesto dall’agenzia di viaggio che organizza la spedizione in Canada alla quale partecipa, chissà a quale titolo, un «consigliere giuridico». Ovvero, Patrizia Pasquin, presidente della sezione del tribunale civile di Vibo arrestato l’altro giorno nella connection mafia-politica & malaffare turistico.
Nei carteggi giudiziari archiviati a Vibo e riesumati a Catanzaro, c'è anche questa delibera provinciale approvata dalla giunta di centrosinistra capitanata da quell'Ottavio Bruni (prima Margherita, ora con Loiero) il cui nome, qua e là, spunta nelle intercettazioni telefoniche allegate all’ordinanza d’arresto. Tra i faldoni si fa pure riferimento a un decreto ministeriale congiunto (Lavoro e Pari opportunità) firmato il 6 aprile 2001 rispettivamente da Cesare Salvi e Katia Bellillo nel quale si provvede alla nomina di «consigliere di parità» di Vibo Valentia del medesimo magistrato.
Per addentrarci con l’inchiesta nel cosiddetto «secondo livello» occorre partire proprio dal dossier presentato alla Dda di Catanzaro il 21 luglio 2005 dal deputato di An, nonché vicepresidente della commissione Antimafia, Angela Napoli dove la deliberazione di giunta (presente Bruni) è segnalata in coda al capitolo Vibo, tra cosche, politica e turismo allorché si fa esplicito riferimento a Giovanni Vecchio, precedentemente «assessore provinciale con delega al turismo e consigliere comunale a Tropea, e avvocato di Luigi, Pantaleone e Antonio Mancuso nel processo Dinasty laddove si oppose alla costituzione di parte civile dei comuni di Vibo e Tropea». Per tale motivo, si legge ancora nel dossier compulsato dalla Dda di Catanzaro, «con l’aggravante del fatto che sono a conoscenza della grande potenzialità dei Mancuso nel settore turistico del territorio, ritenendo incompatibile le due funzioni, ho chiesto le sue dimissioni». Che sono arrivate in ritardo, dopo una finta rinuncia al mandato esercitato da altri legali, sempre però del suo studio.
Quando Vecchio rinuncia alla carica di assessore, gli subentra Aurelio Maccarone della Margherita, «eletto nel collegio San Calogero-Limbadi, fratello del consuocero di Pantaleone Mancuso, detto Luni 'u Vecchio». Se Maccarone, stando al dossier-Napoli, sarebbe stato l’organizzatore della manifestazione oltreoceano attraverso un’agenzia di viaggi «la cui responsabile ha il padre titolare di un ristorante dove si è poi svolto il matrimonio del figlio di Bruni e dove, una settimana dopo, si è registrata una sfilata di gioielli sponsorizzata per 40mila euro dalla provincia di Vibo», l’avvocato Vecchio è indagato in quest’ultima inchiesta per i suoi stretti rapporti con il giudice Patrizia Pasquin che tanta parte avrebbe avuto nelle presunte agevolazioni ai Mancuso nella trattazione del sequestro dei loro beni. Al legale la toga si rivolge il 3 agosto 2004 per fare pressioni sul capogruppo di maggioranza di Parghelia - comune retto dal sindaco Nicola Calzona dei Ds (indagato pure lui) - affinché non si opponesse all’approvazione del piano di lottizzazione del complesso turistico Melograno Village dove lei stessa era socio occulto in cointeressenze con l’imprenditrice Settimia Castagna, a sua volta legata all’architetto Francesca Tulino, responsabile del progetto Infratur sulla Costa degli Dei, dirigente di primo piano della Margherita alla Provincia.
A quest'ultima gli investigatori arrivano prima per i rapporti con il boss Ciccio Mancuso a cui avrebbe chiesto una mano affinché impedisse a chicchessia di creare problemi all’affare. In seconda battuta per il suo attivismo nell’erogazione dei finanziamenti per il Melograno Village, giudicato sospetto al pari della violentissima litigata che la Tulino ha con la Castagna per l'esclusiva dei rapporti personali col presidente della provincia, Ottavio Bruni. A margine di questa discussione gli investigatori ravvisano un’ipotesi di finanziamento illecito ai partiti, nel caso di specie la Margherita, per una frase politicamente scorretta della Castagna: «Senti, da Bruni ci vado quando mi pare, non sono una cojona, finora ho sborsato parecchi milioni di euro. Come mi permetto di parlare con Bruni? Come? Ho ancora gli assegni del partito, un milione e mezzo, due milioni di euro con tutti gli iscritti, ce li ho io gli assegni, cara. E sai a questo partito quanti regali ho fatto, quanti voti gli ho portato?». Ergo, «io sono quella persona che deve mantenere gli equilibri». Gran finale: «Ieri ho incontrato Bruni a San Luca... nessuno di noi avrebbe ottenuto questo risultato, ci siamo adoperati tutti, un lavoro di squadra...». Il presidente, da parte sua, nega d’aver percepito alcunché per il partito, «Francesca e Settimia erano solo amiche».
Ma l’influenza dei Mancuso su qualsiasi business della provincia sembra essere invasiva: «Le cosche Mancuso controllano imprese - recita il documento che ha dato il là alle indagini - attività commerciali, lavori autostradali, bar, ristoranti, aziende vinicole, forniture di cementi». Tutto. Ma è sul turismo che hanno il monopolio anche se talvolta lasciano fare i Piromalli che attraverso prestanome controllerebbero il villaggio (sequestrato) Blue Paradise, sempre a Barghelia. Per non dire del resort di Briatico dove Luni Mancuso avrebbe detto la sua nella compravendita della struttura, o del market nel villaggio di Nicotera Marina gestito da una società vicina alla cosca di Limbadi collegata al fratello del consigliere Salvatore Rizzo. Nel chiedere accertamenti sui politici di centrosinistra di Vibo, la Napoli si è soffermata con il pm di quest’ultima inchiesta su Lidio Vallone, già consigliere del Comune di Briatico sciolto per mafia, e Pietro Giamborino, indagato per 416 bis nell’operazione Rima.

Quale presidente del consiglio provinciale di Vibo, Giamborino nell’ottobre 2004 tuonò contro la commissione parlamentare antimafia definendola una «vergognosa ronda militare che gira e inquisisce».
Fu costretto a dimettersi, ma venne presto risarcito: capolista alle Regionali. Con la Margherita, of course.
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it

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