La porta di Expo per ora apre solo le polemiche

«Nel mezzo di cammin di nostra vita, mi ritrovai in una selva oscura». Considerato che la lingua è la nostra grande bellezza, non vi è dubbio che camminando davanti al cantiere della costruzione Expo davanti al Castello si ha l'impressione di trovarsi in una selva di tronchi spezzati in ferro bianco. I passanti hanno nello sguardo il disorientamento: ma ora dove sarà la bella, retta via che dal Castello correva libera e snella fino al Duomo? «Expo Gate» si legge sui cartelli, ovvero «La porta di Expo» e pare impossibile, considerate le porte a cui sono abituati i milanesi, che questa costruzione di shangai sbilenchi possa meritare tale appellativo.
«Un obbrobrio» commenta Alfonso Fontanella. Maglione verde e zaino in spalla è arrivato in pullman nella notte da Rossano in provincia di Cosenza per vedere i quadri di Andy Warhol e Kandiskij e ritorna a casa nella notte. Un viaggio di un giorno dalla Calabria alla Lombardia e ritorno per vedere opere d'arte. «E mi trovo davanti questo! Non sono mai stato d'accordo con Di Pietro, ma la sua frase «non ci azzecca niente» stavolta ci azzecca proprio. Se continueremo a procedere su questa strada per l'Italia non ci sarà speranza». I pali di ferro cadono facendo più rumore del traffico, soprattutto la mattina presto quando passa qui davanti Marcello Caro, muratore di 58 anni, impegnato nel cantiere di un palazzo storico poco lontano. «Che brutto materiale è il ferro! E' vero che da secoli noi abbiamo perso la bella arte di edificare con il mattone, ma se non siamo più capaci di costruire bene, non vedo perché si debbano rovinare i grandi palazzi di questa piazza con presenze sconce come questa».
Il gruppetto di due ragazzi e due ragazze usciti dalla Scuola Civica osserva il cantiere con sorriso ferrigno. «Vogliamo fare i moderni con un'estetica che ha già fatto il suo corso e che non esprime nulla di nuovo. Sempre cose già viste, sempre cose già viste! Noi copiamo il peggio; e pensare che oggi stanno venendo avanti le case di paglia, ecologiche e magnifiche. Ne ho viste alcune su internet, non si direbbe mai che sono fatte di paglia compressa» commenta Federica, 28 anni. Alla Scuola Civica i quattro giovani frequentano il corso di cinema. «Se facessi un film su questi «Gate» lo titolerei «Tutancamon a Cairoli» - sorride Davide -, ma forse Tutancamon si arrabbierebbe se gli attribuissi una cosa tanto normale di cui non esclameresti mai: «Che figata!», almeno noi giovani». Bene, perché a volte gli italiani fanno sempre la parte di coloro che trovano la bellezza soltanto nel passato, invece anche coloro che per anagrafe assaporano il futuro si sconcertano di fronte a tanta normalità. La normale bruttezza. «Mi potrebbe andare bene il ferro e il vetro, ma la piramide no, la piramide no! Sempre la solita minestra» esclama Monica, 20 anni, «soprattutto così enorme rispetto allo spazio intorno. E' troppo invadente, non c'è armonia né proporzione» conclude Matteo.
La cinesina Ping dentro alla gelateria Al Castello rimarca: «E poi dicono che siamo noi in Cina a fare cose taroccate che durano un giorno! Sapevo che l'Italia era famosa per costruire una bellezza che durava nel tempo, come questo splendido Castello, invece anche gli italiani hanno ceduto al fare provvisorio dei paesi ritenuti meno capaci nelle antiche arti».
Insieme a lei lavora Nicola Costantin. «La cosa che mi disturba è che ogni giorno vedo persone cercare un pezzo di pane nel cestino qui davanti e c'è gente che si permette di spendere migliaia di euro per fare schifezze che poi andranno buttate. C'è qualcuno che non si è reso conto che i tempi sono cambiati, che è tempo di creare poche cose, congegnate bene, capaci di farci credere che lottare ogni giorno per costruire un mondo nuovo ne valga la pena».
Andrea Giordano, studente di Economia, annota: «Ho vissuto a Londra e di robacce del genere ne ho viste. Ma perché se qualche popolo si è abituato a vedere il brutto, dobbiamo abituarci anche noi italiani?». La porta dell'Expo apre a tante domande. Ma chiude in sè un vero concetto? «Forse uno solo - sottolinea Frunza, 45 anni, albanese, operaio nel cantiere della “Expo Gate” -.

Si dice che rispetto agli antichi ci siamo evoluti, ma se mi guardo intorno vedo un Castello che ha tanti anni e che non ha paragone con quello che sto facendo». Per ritornare a Dante, sulla porta dell'Inferno sta scritto: «Lasciate ogni speranza voi ch'entrate». Ma la speranza della bellezza non ci abbandona ancora.

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