Verbania L’inchiesta sul senatore leghista

L’accusa è inquietante e suggestiva: una legge in cambio di una tangente. Ma, al momento, la corruzione legislativa poggia su basi esili. Il senatore della Lega Enrico Montani (foto) ieri si è precipitato a Verbania, in procura e ha chiesto di essere interrogato al più presto. «Grazie per la disponibilità, le faremo sapere», hanno risposto i pm Nicola Mezzina e Laura Carrera che conducono l’inchiesta su Corrado Gacomini e la sua azienda, un colosso della rubinetteria al centro di una frode fiscale da 200 milioni di euro. «Per ora - spiega al Giornale l’avvocato Paolo Marchioni - c’è solo un decreto di perquisizione che fa riferimento a un disegno di legge riguardante le caldaie a idrogeno. Benissimo, però non ci dicono a quanto ammonterebbe la mazzetta, quando venne pagata, dove, niente di niente. Così non si sa bene da cosa difendersi». In realtà in quelle pagine si parla di una data vicina al 18 ottobre scorso: in quel periodo sarebbe stata versata o promessa la stecca. Montani dà un’altra versione e ricostruisce puntigliosamente i suoi rapporti con l’imprenditore, arrestato nei giorni scorsi insieme alla sorella Elena: «Giacomini aveva intenzione di aprire una fabbrica per la produzione di caldaie ad idrogeno che avrebbe impiegato fino a cinquecento persone. Mi ha chiesto di lavorare a una legge che prevedesse sgravi e agevolazioni fiscali esattamente come è per i pannelli solari. E mi sono attivato. Ho fatto il mio dovere di parlamentare».
Insomma, per Montani i suoi rapporti con l’industriale, che guida un gruppo con oltre mille dipendenti, sono sempre stati limpidi e corretti. Ora si attende la mossa della procura che ha scoperchiato la contabilità parallela dell’azienda. E ha costretto alle dimissioni il sottosegretario alla giustizia Andrea Zoppini, l’avvocato e docente universitario che avrebbe aiutato Giacomini a creare la rete di conti esteri con base in Lussemburgo ed è indagato per frode fiscale. In particolare Zoppini avrebbe incassato per la sua consulenza 1 milione e 732.000 euro, ma ben ottocentomila sarebbero stati pagati in nero, estero su estero. Nell’indagine sono coinvolte più di venti persone: tra di loro, per «favoreggiamento», anche l’avvocato milanese Fabio Bassi, dello studio legale Amodio. In carcere, oltre ai fratelli Giacomini, c’è un broker, Alessandro Jelmoni, e un ragioniere, ex dipendente del gruppo e ora libero professionista, Giulio Sgaria, arrestato ieri e posto ai domiciliari. Montani, intanto, incassa la fiducia del sindaco di Verbania. «Sono certo - spiega Marco Zacchera - che le indagini confermeranno la sua estraneità alla vicenda». Di più Zacchera non ha revocato a Montani, assessore nella sua giunta, la delega al turismo, anzi l’ha riconfermato a tambur battente. Non solo, anche a Roma il gruppo parlamentare del Carroccio difende l’indagato e mette nel mirino i pm che hanno setacciato i locali della sede provinciale della Lega. Il problema è che il senatore è stato fino a pochi mesi fa il segretario della Lega.

I pm non si sono avvicinati al suo computer ma questo non ferma le polemiche: «Il decreto di perquisizione - afferma Sandro Mazzatorta, vicepresidente del gruppo a Palazzo Madama - è una palese violazione dell’articolo 68 della Costituzione perché nessuna domanda di autorizzazione alla perquisizione è giunta al Senato».

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