Napoli

Il suono della tromba ha accolto a Saviano il feretro del sindaco. Siamo in piena pandemia, i funerali sono vietati, non si può uscire se non quando è strettamente necessario, e sono vietati gli assembramenti. Ma, in barba alle regole imposte per impedire il contagio da Covid 19, nel piccolo comune del Napoletano centinaia di persone sono scese in strada per l’ultimo saluto al sindaco Carmine Sommese, medico chirurgo, deceduto a causa del coronavirus. Tra lacrime e applausi, con i palloncini tricolore, e tanto di protezione civile a garantire l’ordine pubblico, centinaia di persone hanno affollato il centro cittadino, mettendo a rischio se stesse e l’intera comunità. Il tutto sotto lo sguardo dei carabinieri. Al seguito del carro funebre anche componenti dell’amministrazione comunale, che dal municipio hanno accompagnato la salma a piedi per decine di metri. Una sosta nei pressi del comune, fascia tricolore alla moglie del primo cittadino in lacrime, poi verso il cimitero. Eppure la famiglia del sindaco aveva invitato a restare a casa

Agata Marianna Giannino Vincenzo Esposito
La folla in strada per l'ultimo saluto al sindaco

Viaggio in un campo rom di Giugliano in Campania, nel Napoletano, dove quasi 500 persone provano a tenere lontano il nuovo coronvirus con le preghiere e affidandosi agli infusi delle donna più anziana del gruppo

Agata Marianna Giannino
La pandemia nel campo rom: "Qui lo curiamo con le erbe"

Il distanziamento sociale, la pulizia degli ambienti e l’igiene personale, soprattutto il lavarsi le mani, sono alcune delle regole principali da seguire per prevenire il contagio da Covid-19. Ma in luoghi dove le condizioni igienico-sanitarie sono precarie, dove mancano i servizi minimi essenziali e le abitazioni sono baracche, spesso sovraffollate, queste raccomandazioni diventano difficili da seguire. Siamo stati in un campo rom abusivo, a Giugliano, in provincia di Napoli, un insediamento ai margini della città dove vivono circa 80 famiglie: quasi 500 persone, di cui più della metà sono minori. Loro, hanno saputo dell’emergenza coronavirus dalla televisione, quella che riescono a vedere perché si sono allacciati illegalmente alla rete elettrica. Fino a qualche mese fa nel campo non avevano nemmeno l’acqua corrente. Si contano sulle dita di una mano gli abitanti della baraccopoli che indossano una mascherina. Qualcuno le ha realizzate a mano per i familiari. La paura per il virus c’è ma non ha cambiato i rapporti sociali nell’insediamento. L’unico distanziamento che mettono in pratica nel campo è da quel mondo esterno da cui già erano emarginati

Agata Marianna Giannino
La vita in un campo rom ai tempi del coronavirus
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