Il mal di pancia è garantito. Lavvocato Gianpaolo Tosel, vecchio gentiluomo del Friuli, giudice sportivo da qualche mese, deve aver benedetto lappuntamento di fine settimana a Glasgow della Nazionale. Gli ha consentito infatti di rinviare di qualche giorno una decisione destinata a far discutere. Stiamo naturalmente alludendo alla sentenza per sigillare il rinvio di Atalanta-Milan, determinato dagli ultrà, ma sottoscritto dal questore di Bergamo. Alla sua volontà, ha il dovere di inchinarsi persino larbitro fino a qualche tempo fa dominus incontrastato dei campi di calcio. Questo dettaglio è influente ai fini della giustizia sportiva perché pone, sul piano formale, lAtalanta al riparo dalla perdita a tavolino della partita per 0 a 3. Il precedente sventolato in queste ore, il derby di Roma del 2004, è citato a sproposito: allora la partita venne sospesa e successivamente recuperata per larrivo degli ultrà a bordo campo daccordo ma in forza della decisione dellarbitro Rosetti dopo lintervento (telefonico) del presidente della Lega dellepoca Adriano Galliani.
Allora, come oggi, il dibattito è garantito, in discussione lunico pilastro della giustizia sportiva rimasto in piedi, la responsabilità oggettiva cioè. Può il calcio, di fatto, accettare la sospensione di un partita per effetto del comportamento violento di un gruppo di tifosi? La risposta razionale è no. Il portavoce dellAtalanta, Cristiano Doni, ha agitato questo fantasma, domenica pomeriggio, inutilmente. «Di perdere 0 a 3 non ci frega niente» fu la risposta dei rivoltosi. Ma cè il rovescio della medaglia da valutare: si può applicare la responsabilità oggettiva in un caso clamoroso ed eccezionale come quello di Bergamo? La risposta, anche qui, è una e una soltanto: no. Perciò il calcio italiano, prima di scrivere la prossima sentenza, non deve consultare i suoi codici ma decidere da che parte stare: deve scegliere cioè se lasciare anche il più piccolo spazio alla dittatura dei nuovi barbari oppure no.
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