Daniele Casale
da Cagliari
Un tunnel lunghissimo, cominciato quasi undici anni fa e finito con la luce di un semplice «ciao». Simone Massa, 30 anni, è nato una seconda volta: perché si è svegliato dopo un coma vegetativo che lo aveva inchiodato a un letto e una poltrona, dopo un terribile incidente automobilistico. Il miracolo è successo in una cittadina della provincia del Campidano, Guspini, distante da Cagliari 60 chilometri. Qualche giorno fa la sorella del ragazzo, Marina, era andata a trovarlo in camera sua e lo aveva salutato. Incredibilmente, quella volta lui le ha risposto: «Ciao». Da quel momento in famiglia è stata festa: l’anziana madre ha visto finire in quelle quattro lettere un’odissea che pensava interminabile, fatta di viaggi della speranza in mezza Italia, di illusioni, di dolore, di attesa.
Ora Simone è in grado di capire, di parlare, anche di provare fastidio: come due giorni fa, quando in casa c’era una nipotina che guardava i cartoni animati alla tv a volume sostenuto. «Abbassa», ha detto lui. I medici ancora non si pronunciano, parlare di miracolo per loro è quasi contraddire la scienza. Però ammettono che il caso del giovane sardo è davvero eccezionale, anche perché il tipo di coma in cui si trovava fino a poco tempo fa, chiamato «apallico», è uno stato vegetativo in cui il paziente non parla né riesce a muoversi. Il malato si trova in uno stato considerato vegetativo perché ha perso le funzioni neurologiche cognitive e la consapevolezza dell’ambiente attorno a sé, ma mantiene quelle non cognitive e il ciclo veglia-sonno, per cui, se aiutato, può anche mangiare e sedersi. Vi possono anche essere movimenti spontanei, ma il paziente non parla né dimostra di reagire agli stimoli, tanto meno alle domande. In alcuni casi può ridere o piangere o fare smorfie, indipendentemente dall’ambiente. Il coma apallico capita dopo gravi traumi cranici e l’uscita da questa condizione è rara, ma possibile, benché sempre più difficile con il passare degli anni.
Anche gli occhi di Simone rimanevano fissi nel vuoto. Per molti il suo destino era segnato, ma qualcosa ha voluto che andasse diversamente. Un qualcosa aiutato dalle mille carezze, coccole e premurose cure regalate dalla madre e dai fratelli.
Una tragedia, quella del trentenne dagli occhi verdi, cominciata un maledetto sabato, l’8 aprile del 1995 quando dopo una pizza con gli amici Simone, che lavorava in un’impresa edile di Firenze, decide di concludere la serata spensierata in un locale. Sale in auto ma un altro veicolo, che poi si darà alla fuga, gli taglia la strada. Il ragazzo, per evitarla, sterza bruscamente e finisce su un muretto. La prognosi sembra non lasciargli scampo: trauma cranico e coma profondo. Dalla Sardegna arrivano all’ospedale fiorentino i genitori, che non lo abbandonano un attimo. Il padre, Efisio, ne risente a tal punto che viene colpito da un ictus. Le conseguenze se le porterà appresso fino alla morte, avvenuta per un tumore quattro anni fa. A tre mesi dall’incidente il coma profondo è superato, ma lascia il posto a quello «apallico». Simone viene nutrito con liquidi. Torna nell’isola e per qualche tempo è ricoverato in ospedale vicino a Guspini, senza alcun miglioramento.
Non rimane che tornare a casa, dove il ragazzo trova anche la necessaria assistenza da parte delle strutture sanitarie e del Comune. I viaggi della speranza non fanno altro che alternare speranze a delusioni.
Poi, alcuni giorni fa, qualcosa succede. Simone torna alla vita, esce da un tunnel che sembrava infinito. Prima il «ciao» alla sorella, poi l’«avviso» alla nipotina. Il ragazzo risponde anche al suo medico, Franco Lampis, che gli chiede «Dove sei nato?», «A San Gavino». «E quando?». Passano due-tre secondi: «Agosto». Vero. «E sai anche l’anno?», gli chiede ancora il dottore. Silenzio. «Millenovecento...», lo aiuta il medico. «Settantacinque», dice lui. Simone, dunque, ricorda anche il passato.
Ora lo aspetta un lungo periodo di tranquillità, lontano dal clamore dell’eccezionalità dell’evento di cui è protagonista, e un’intensa fase di riabilitazione, visto che dovrà superare le difficoltà motorie di chi è stato sdraiato o seduto per tanto tempo.
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