In 15 anni 58 tentativi di sfratto E il padrone di casa vive in affitto

L’inquilina è sempre ricorsa a cavilli per non lasciare l’appartamento

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Alessandra Pasotti

da Milano

Il mutuo, quello almeno pensava di poterselo risparmiare. Invece la giustizia ha stabilito che lui, Franco Tizianel, può anche permettersi di acquistare una casa nuova («certo basta andare in banca e farsi fare un mutuo»). Al contrario della sua inquilina, una signora di 58 anni, pensionata con un piccolo lavoro in nero come parrucchiera. Lei sola ha diritto ad abitare i 70 metri quadrati in viale Zara per la risibile cifra di 111 euro al mese lasciati in eredità da nonno Tizianel e malauguratamente affittati nel 1986. Non lui e nemmeno i suoi due figli che a loro volta hanno dovuto accendere mutui per acquistare casa. Da quindici anni Franco Tizianel conduce la sua sconcertante battaglia per sfrattare l’inquilina che occupa la sua unica abitazione. Da quindici anni la giustizia milanese, nonostante una sentenza di «sfratto esecutivo» pronunciata nel 1994 gli ha sempre negato questo diritto.
Dal ’94 a oggi la storia di questo sfratto, «esecutivo» sulla carta, ma mai eseguito nella pratica, si è srotolata in qualcosa come 58 accessi nell’abitazione dell’inquilina dei quali quattro con l’ausilio della forza pubblica, una decina di sentenze e altrettanti ricorsi e controricorsi. «Mai è stato possibile liberare l’abitazione. C’era sempre un certificato medico che diceva che l’inquilina era malata, un cavillo, un ricorso dell’ultimo minuto e lo sfratto veniva rinviato», racconta Tizianel, ex dirigente in pensione. «Per anni ho abitato con la mia famiglia in una casa dell’Ina Assitalia - racconta -. Poi è arrivato lo sfratto. Cosa ho fatto? Io me ne sono andato. Del resto avevo quell’altra abitazione. Credevo che la pratica per liberare l’appartamento, già avviata nel 1990, avrebbe avuto un’accelerazione. Se non altro perché quei locali per me diventavano la mia prima casa. Invece niente».
In una delle ordinanze un giudice afferma che «l’inquilina non può permettersi un affitto di mercato». In un’altra c’è scritto che «grava sul locatore portare la prova» di quanto guadagni la signora con il suo lavoro in nero come parrucchiera.
«Finché un giorno ho dovuto decidermi - dice ancora Tizianel -: investire i miei risparmi, andare in banca a chiedere 50mila euro di mutuo per comprare una casa nuova. I miei figli hanno fatto lo stesso». Nel frattempo il 2 marzo scorso di fronte all’ufficiale giudiziario e ai vigili, l’inquilina ha estratto un certificato medico che le prescriveva riposo per dieci giorni. Il 14 aprile ha srotolato un altro certificato medico: «la signora soffre di lombosciatalgia». Poco importa che il medico presente avesse assicurato che il mal di schiena non è incompatibile con l’esecuzione di uno sfratto. Rinviato. Fino a qualche giorno fa, quando inaspettata, è arrivata l’ennesima ordinanza-beffa. Un giudice della XIII sezione civile, quella che si occupa di locazioni, ha stabilito di sospendere («sospendere capisce? Dopo 15 anni»)l’esecuzione dello sfratto.

Motivo? L’ufficiale giudiziario che si era sempre occupato del caso non aveva la qualifica necessaria per farlo (tecnicamente era un B3 invece che un C1). Tizianel di nuovo ha preparato le carte: ma stavolta la causa è per il risarcimento chiesto contro il Tribunale di Milano per i danni subiti da tante assurde lungaggini e rinvii.

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