«Sono delusa, amareggiata, non capisco più qual è il mio ruolo all'interno dell'azienda di Poste italiane». Non ha voglia di parlare la cassiera di un ufficio di Torino che dopo aver subito una rapina, sette mesi fa, si è vista presentare il conto dall'azienda: dovrebbe restituire 17mila euro. Chiusa nel suo paltò, difesa da colleghi e rappresentanti sindacali, la signora schiva le domande ma si fa giustificare da Mauro Armandi del Slp Cisl: «Con una circolare interna - spiega il sindacalista - le Poste italiane hanno vietato ai dipendenti di parlare con i giornalisti. Abbiamo paura che possa essere raggiunta da un ulteriore provvedimento». «Sono sull'orlo di un esaurimento - si lascia scappare la cassiera - dopo tanti anni di servizio, senza mai un'assenza, questo è troppo. Quando mi è arrivata la richiesta non volevo credere ai miei occhi, proprio un bel regalo a pochi giorni dalla pensione». La vicenda che ha dell'assurdo inizia a luglio dell'anno scorso, quando un rapinatore entra nell'ufficio postale di via Giusti a Torino. Come tutte le mattine la donna è al suo posto, sostituisce la direttrice che è in malattia e con lei ci sono due anziani clienti, persone fidate che da anni si servono dei servizi di quell'ufficio e che lei conosce bene.
«Dovevo consegnargli un carnet di assegni - ricorda - che si trovavano nella cassaforte, dove li abbiamo sempre tenuti». Proprio in quel momento un rapinatore fa irruzione nel locale, passando dalla finestra del bagno. È la sesta volta che la donna subisce una rapina, sa che non deve agitarsi per non mettere a repentaglio la sua vita e quella dei clienti. Reagisce d'istinto cercando di difendersi, chiudendo la seconda porta del bagno per incastrare il malvivente, ma lui è più rapido e soprattutto più forte. La cassaforte è rimasta aperta e il rapinatore si serve: 17 mila euro, poi si sposta agli sportelli e ne preleva altri 5mila. Sembra tutto finito, ma pochi giorni fa il colpo di scena: le Poste chiedono un risarcimento alla dipendente per aver violato una disposizione che impone di tenere i libretti degli assegni nell'armadio blindato e non in cassaforte.
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