Nel 1935, un grande storico, come Federico Chabod, pronunciava un elogio del ruolo svolto da Mussolini nella stesura del «Patto delle quattro potenze» del 1933, che sembrava poter garantire un futuro di pace ai popoli del vecchio continente. Con la firma di quellaccordo, stipulato tra Francia, Inghilterra, Italia e Germania, il capo del governo «aveva dato allEuropa lesempio di ciò che debba intendersi per politica di collaborazione, lunica nella quale lEuropa stessa possa ritrovare il suo equilibrio...». Con quellintervento Chabod coglieva il nocciolo della politica estera di Mussolini, che guardava allEuropa come diversivo per assicurarsi la sicurezza nella zona danubiana e tendere allespansione nel Mediterraneo e in Africa.
Nel luglio del 1932, un ampio promemoria del Ministero degli Esteri aveva preannunciato le linee essenziali di questa strategia, che aveva come unico obiettivo: «quello di rivedere a nostro vantaggio la distribuzione dei territori coloniali». La pressione italiana per attuare una revisione dei Trattati di Versailles, non intendeva soddisfare «alcuna necessità nostra» nel contesto europeo, ma costituiva la copertura di una azione orientata «sempre all'Africa» e alla correzione, in quellarea, delle «condizioni di inferiorità nella quale si trova lItalia rispetto alla altre grandi nazioni vittoriose». Il nostro Paese non aveva interesse, infatti, a modificare la situazione internazionale globale, ma solo quello di procurare agli Italiani «terre e lavoro, campi da coltivare e mercati da sfruttare».
Tra maggio e luglio del 1934, loffensiva diplomatica italiana si concentrava soprattutto sullobiettivo di ottenere dal concerto europeo, e dalla Francia in particolare, il via libera per una più ampia penetrazione nel Corno dAfrica. Risultato sostanzialmente raggiunto con laccordo italo-francese del gennaio 1935, poi messo in discussione dalle ambiguità e dai silenzi inglesi, i quali preludevano alla futura rottura tra Italia e regimi democratici, in occasione della guerra d'Etiopia, che avrebbe portato ad un brusco avvicinamento del nostro Paese alla Germania. Nel 1936, un altro intellettuale, Gioacchino Volpe, sottolineava la gravità della crisi internazionale, che si era venuta a creare col ribaltamento delle tradizionali intese, nel momento in cui Francia e Inghilterra avevano mancato di rendersi conto che la nostra espansione africana non costituiva alcun attentato allo status quo europeo. La risposta delle sanzioni, con cui la Società delle Nazioni colpiva il nostro impulso verso loltremare, appariva un gravissimo errore. Nulla di tutto questo era stato compreso a Londra e a Parigi, che neppure avevano considerato come lallontanamento dellItalia dal blocco delle potenze occidentali avrebbe potuto comportare conseguenze catastrofiche sullintero ordine mondiale.
In quel momento, i destini dellItalia si incontravano, tuttavia, anche con lEst europeo, molto lontano dallo scenario mediterraneo, ma anche più minaccioso, rappresentato dallUrss, nei cui confronti la diplomazia fascista era stata larga di interessate aperture, ma che ora, dopo lintervento sovietico nel conflitto civile spagnolo, veniva a costituire una minaccia da fronteggiare attraverso la sigla del Patto Anti-Comintern, sottoscritto insieme a Germania e Giappone nel novembre 1937. Era un accordo contro il comunismo internazionale, che costituiva anche il primo documento di un comune impegno formale tra fascismo e nazionalsocialismo sul piano della politica estera e che veniva salutato da Mussolini come rottura dellisolamente strategico del nostro Paese, infrangendo lapartheid decretato contro di noi dopo il 1935.
eugeniodirienzo@tiscali.it
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.