Ancora una volta c’è solo l’imbarazzo della scelta. Degli insulti, naturalmente. E degli slogan deliranti e tragici frutto di una strumentalizzazione politica giocata nelle strade e nelle piazze del 25 aprile. Ma ci sono anche le proteste contro Rifondazione comunista: fischi e cori perché «Rifondazione impari la lezione, ci servi nelle piazze non sulle poltrone». Messaggio dei pasdaran dell’antifascismo militante, quelli che sui muri inneggiano: «Morte alla Confindustria», «Il capitalismo non si riforma, si abbatte» oltre all’immancabile «Libertà per i compagni».
Fotografia dell’ennesima trasfigurazione della piazza, con in sottofondo il rap delle posse: «Ho un rigurgito antifascista, se vedo un punto nero gli sparo a vista». Leit motiv che non ammette alternative e che gli autonomi ritmano da porta Venezia sino a piazza Duomo, dove quelli del Cantiere (centro sociale in viale Monterosa) e del Gramigna promettono quanto prima di «regolare i conti con i porci padroni».
Certezze a caratteri cubitali di chi vagheggia di essere la «storia»: «La storia non si riscrive, la storia siamo noi». Virgolettati no global che si ritrovano pure in poco meno di cinquecento manifesti formato trenta per cinquanta che invitano alla «militanza attiva» per «fermare intolleranza, razzismo e xenofobia» ovvero «De Corato, Fidanza e Salvini». «Stampati ingiuriosi e farneticanti che la polizia municipale ha provveduto a sequestrare» chiosa il vicesindaco Riccardo De Corato: «La Digos è informata e grazie alle telecamere comunali è stato individuato uno degli imbrattatori».
Uno di quelli che, senza forse - anziché fischiare l’assessore Giovanni Terzi, rappresentante della giunta comunale, o impedire alla Brigata ebraica di sfilare senza aggressioni come avvenuto negli anni passati - ha scelto di «fischiare Bertinotti and company» perché «noi sappiamo stare nelle piazze, la débâcle che piange non è la nostra». Traduzione: non è problema degli autonomi, che in piazza vogliono alzare lo scontro sociale.
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