«48 ore», poliziesco da Mtv che piace come un videoclip

Lanterna, porto carruggi: flashback e ritmo serrato per una fiction che ha un cast d’eccezione ancora tutto da scoprire

Notte fonda, luci del porto, suoni eterei che rimandano ad una tensione prossima e… (guarda caso) la Lanterna… «Un'altra vita», primo episodio della nuova modernissima serie poliziesca a marchio Mediaset, dal punto di vista «zeneise» si avvia nel solco della tradizione. La torre di segnalazione marittima di Capo Faro è molto cara a registi e produttori; insistono a piazzarla all'inizio, per indicare allo spettatore lo spazio scenico. Massimo risultato con il minimo sforzo. Ed un clichè con pochi eguali. La sigla, supportata dal «finto rock televisivo» in crescendo (di Francesco Zampaglione, fratello del leader dei Tiromancino), ha stampo da videoclip, con relativo montaggio veloce, incroci e movimenti di camera trasversali: comunica immediatamente che si punta molto sul ritmo e che si ha a che fare con un «gruppo» ben preciso, ad alta percentuale romana, subito presentato: nell'ordine appaiono il carismatico vice questore e capo della sez. speciale «catturandi» Diego Montagna (Claudio Amendola), il commissario Marta De Maria (Claudia Gerini all'esordio come poliziotta - appare con un noto dipinto su Genova alle spalle), il Serpico della situazione Renato Tenco (Adriano Giannini), il vice capo (unico «genovese» nella finzione) Fabrizio Strada (Massimo Poggio, il prete di «Cuore sacro»), l'ironico veterano siculo Vincenzo Vullo (Mimmo Mignemi), il giovane esperto informatico Andrea Billè (Lorenzo Balducci). Tra pistole assortite, fumo di sigarette, mouse e cellulari, sparatorie ed un'esplosione fanno capolino il Bigo, una stazione del Metrò, spicchi di mare, palazzi e carruggi, tra le lancette di un orologio stilizzato ed il luccicare di una lama. A seguire, in interni: foto incorniciate (una con la Gerini abbracciata ad un uomo) ed una pistola puntata alla testa del mdesimo. «Andatevene o gli faccio saltare la testa»… Intorno, altri uomini ed altre pistole: «molla quell'arma». La scena madre dell'episodio è un tempo immobile, sul filo del rasoio, con l'adrenalina al massimo, concluso da un colpo di pistola improvviso che esplode verso i poliziotti, con il proiettile ingrandito al computer come nelle sigle fashion di 007. La dicitura «48 ore prima» riporta all'origine dei fatti. Il romano Eros Puglielli («Dorme», «Occhi di cristallo»), pluridecorato autore di corti esordisce sul piccolo schermo con una regia spinta sull'accelleratore, con continui spostamenti e dissolvenze rapide, sempre addosso all'azione ed ai suoi protagonisti, permettendosi qualche rimando allo stile degli anni 70'. Dopo le 48 ore (tempo limite teorico del titolo) diventa molto più difficile rintracciare i latitanti: occorre quindi conoscere nel più breve tempo possibile ogni dettaglio della loro vita. Il regista gioca la sua scommessa trasformando l'indagine in azione. Nei primi due episodi piazza un nemico acerrimo e bombarolo (il perfido capo mafia Mario Crotone - l'acido Luigi M. Borruano, papà Impastato ne «I cento passi»), il prologo di una storia d'amore tra il Giannini jr. (in grande evidenza) ed una Gerini per ora sotto utilizzata, la morte di un collega che salva un Amendola non del tutto convincente. I poliziotti in lotta perenne con l'orologio hanno sede in una vecchia palazzina industriale sul molo (Polizia con vista?)… Si riparte: panoramica notturna, sulle alture, sotto scorrono fiumi di auto, Amendola canta «I Watussi», usurpando il Karaoke dei figli. Quando lo chiamano al telefono fortunatamente non giunge l'ennesimo spot di un cellulare. La fuga di un pentito di mafia interrompe l'amena serata. La scritta «Genova edificio abbandonato h. 4.05», in stile thriller U.S.A. ci getta nel vortice dell'azione, con una fotografia luminosa, spinta, a tratti livida. La Gerini bazzica il Belvedere di Castelletto: nel palazzo giallo poco più sotto vive un magistrato suo ex. La nuova vita del titolo era quella promessa al pentito («killer che voleva essere padre di famiglia»), braccato dagli sgherri di Burruano. Tentano di ucciderlo e lo salva Giannini jr. (sparando in mezzo alla folla!). Scopre che il suo grande amore (di Levanto) è morto sei mesi prima e va ad uccidere il giudice. Viene intercettato, sparerà addosso ad Amendola (salvo grazie al giubbotto antiproiettile), buscandosi due pallottole. Finirà col testimoniare contro il capo mafia annidato a Genova. Questi indispettito esclama «basta con le parole, ce lo leviamo dalla minchia Montagna»! Battuta del siciliano al giovane collega: «Pulcino ma che fai? Sempre a cazzuliare sto' telefonino?». Il rapporto tra i due è tratteggiato in modo simpatico ed efficace. Il giovane Stavich (la bella sorpresa Tommaso Ramenghi) passa alla Narcotici, sostituito alla «catturandi» proprio da Giannini con spider rosso in dotazione. Chiude la puntata andando ad infiltrarsi nel bar «Blue moon» in porto. Si citano e si vedono fugacemente gocce di Savona, Varazze, La Spezia e l'osteria «Dindi» a Levanto, mentre piazza della Vittoria appare sui monitor di servizio e la Gerini bacia il suo ex. Si vedono anche la Questura, il Matitone, staz. Principe, il Palazzo di Giustizia e la Sopraelevata. «Questione di coraggio» riparte dal pulcino Stavich, che incoccia in Crotone e si fa beccare. Partecipa anche, senza parlare, la rediviva Rita Rusic («Attila flagello di Dio», «Joan Lui»). Si conferma lo schema della scena madre all'inizio, con la squadra al completo su un molo, a pistole spianate. Chiude una tremenda esplosione. Ritorna la Lanterna, con il suo fascio di luce ad attraversare la notte. Due sbandati esclamano «Porca bagascia, che cazzo succede stasera?», si citano i depositi industriali di Granarolo, Giannini si fa vedere in Via Prè e dalle parti del mercato di Prè e alza il tiro con la Gerini, che ha scaricato il magistrato: «Ispettore capo, lei è straordinariamente bella». Come negarlo? Amendola minaccia di buttare dalla finestra un poco di buono se non parla; Vullo acquista il giornale nell'edicola della stazione Principe, ripresa in una lunga sequenza, e si inventa dolori atroci per strada per non far scoprire un collega. Stavich è nascosto a Sampierdarena, tra i ponti Eritrea e Etiopia, pestato a sangue dal boss ed usato come esca per attirare in trappola Montagna, che va all'appuntamento da solo, come da copione. Arriva il resto della squadra e si ritorna all'inizio. Il ragazzo si fa coraggiosamente saltare in aria per salvare il capo. Dopo, in ufficio solo silenzio, suono di sirene delle navi, gabbiani e tristezza infinita. Il siciliano disperato guarda la diga foranea ed è raggiunto dal collega telematico: «…L'universo è tutto collegato, ma sembra che se ne freghi di noi». Un'altra panoramica notturna della città funge da sipario. L'episodio finisce con il volto livido del boss che minaccia morte. In 100 minuti totali non si sente neanche una volta l'intercalare nostrano «belin». Ritmo serrato, suspence e colpi di scena per un progetto costato 9 milioni di euro che va ad inserirsi nel solco dei telefilm a stelle e strisce di nuova generazione, diretto presumibilmente ad un pubblico mediamente giovane.

Tre interruzioni pubblicitarie a puntata spezzano un po' il ritmo, il bollino giallo nell'angolo del teleschermo mette qualche mano avanti. Genova per ora fa da semplice cornice: visto il ritmo frenetico non poteva che essere altrimenti. In sintesi: un poliziesco da Mtv.

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