«A 70 anni sono costretto a fingermi prete per poter pagare le tasse»

Era un piccolo imprenditore. Per colpa della crisi non ha versato Iva, Irpef e contributi Inps. Il giudice gli ha ridotto di un settimo la pensione. E lui «per rappresaglia» non paga bollo dell’auto e canone Rai

La faccia da prete ce l’ha. Ma prete non è. Con quegli occhialini ovali e quell’aspetto fragile, diciamo pure che ha la faccia da papa, quasi un sosia di Benedetto XV, il supplice avversario della prima guerra mondiale, bollata come «inutile strage». Nel suo piccolo, anche don Walter, al secolo Gualtiero Bassanese, si trova nel vortice di un conflitto mica da ridere. Non s’è mai visto un povero pensionato di quasi 70 anni, costretto a camuffarsi da prete per pagare le tasse, che deve combattere contro tutti i poteri costituiti: carabinieri, polizia, vigili urbani, autorità comunali, clero.
Bassanese è diventato una statua vivente per necessità e tutti ce l’hanno con lui perché la sua imitazione in abito ecclesiastico viene considerata dissacratoria e ingannevole. «Devo al fisco 3.000 euro, ma dall’Agenzia delle entrate sono in arrivo cartelle esattoriali per altri 18.000. Come faccio a saldare, se di pensione ne prendo 562 al mese?». Perciò a ogni fine settimana lascia Montecchio Maggiore, il paese del Vicentino dov’è nato, e va a esibirsi nelle piazze del Nord Italia. Su un cassone adattato a pulpito, si trasforma in don Walter, è così che lo chiamano gli amici: una talare con fascia in vita, sulla testa un saturno con nappa, un aspersorio, un leggìo in legno, un librone di latinorum. «Interpreto l’umile parroco di campagna degli anni Cinquanta. Di solito lavoro la domenica, due ore la mattina e quattro il pomeriggio». La sua Laura, con la quale è sposato da 42 anni, ogni volta che lo vede salire sulla scassatissima Polo rossa immatricolata nel 1992 si mette a piangere, e non solo per l’umiliazione d’avere un marito che deve andare in giro a chiedere l’elemosina: «Mi raccomando, non la chiami la moglie del prete neanche per scherzo. Lei pensa che sia sacrilegio e che il mio travestimento possa imbrogliare le vecchiette. Poverina, non sa che quelli della nostra età di oboli da offrire non ne hanno proprio. Semmai sono io che regalo un attimo di sorridente nostalgia agli anziani. “Ma lu xelo don Luigi o xelo don Bruno?”, chiedono. Mi scambiano per i curati della loro giovinezza. I più teledipendenti si buttano sui personaggi dei film e degli sceneggiati: “Xelo don Camillo? O don Abbondio? Ah, no, ’desso go capìo: lu xe don Matteo!”».
Certo, Bassanese avrebbe potuto prendere esempio dal suo collega Enrico Vaglieri, un artista di strada laureato in filosofia che abita a Orsago (Treviso) e si fa chiamare Henry White, capace di stare immobile sul piedistallo anche per quattro ore filate, com’è accaduto al World statues festival di Arnhem, in Olanda. Pur essendo diplomato in scienze religiose e specializzato in tecniche di meditazione spirituale, nelle sue performance Vaglieri propone personaggi d’ogni tipo - Cicerone, Newton, Goldoni, Casanova, Mozart, Stendhal, Napoleone, l’ammiraglio Nelson, Capitan Uncino, persino il Milite ignoto - ma s’è sempre ben guardato dal vestire i panni del prete diocesano. «Eppure mi ha fotografato per strada, era entusiasta della mia imitazione, e mi aveva anche promesso di scrivermi, però non l’ha mai fatto», si rammarica Bassanese. «Certo, se avessi come lui i soldi per interpretare trenta maschere diverse, non mi sarei improvvisato statua vivente, le pare? Avrei pagato le tasse arretrate e continuato a fare il pensionato».
Quando s’è trovato a dover onorare i suoi debiti con l’erario, l’anziano vicentino ha pensato di riprendere, sia pure in forma simulata, il disegno interrotto a metà che un destino crudele aveva scritto per lui, il piccolo Gualtiero, rimasto orfano a soli 3 anni. «Mio padre Novenio lavorava alla fabbrica di batterie Fiamm e rimase ucciso in un bombardamento aereo, lasciando soli mia mamma Erminia e 11 figli. Io ero il primo maschio dopo sette sorelle. A 5 anni fui mandato dalle suore di carità dette di Maria Bambina, a Santorso. A 10 mi ammisero nel collegio San Gaetano di Vicenza, fondato da don Ottorino Zanon. Ero il più bravo, fui nominato capo dei chierichetti. Purtroppo mi ammalai. Venni mandato a casa per curarmi. Quando finalmente i medici scoprirono che la causa delle febbri violentissime e ricorrenti era una nefrite, avevo perso un anno e anche la vocazione. Se fossi rimasto in collegio, prete lo sarei diventato per davvero».
Si prese invece un diploma di perito aziendale e trovò posto come impiegato al Consorzio agrario. Nel 1969 fondò l’impresa edile Bassanese. «Eravamo in tre: mio suocero, un muratore e io a fare da impiegato e da manovale». Durò quattro anni. Poi aprì un’impresa di pulizie e infine una ditta per il recupero del materiale tessile. «Insieme con mia moglie, i due figli maschi e un autista, riciclavo gli scarti della Marzotto e della Lanerossi. Ma con la delocalizzazione il tessile è finito. Oggi Paolo, 40 anni, e Nicola, 39, stanno chiudendo l’attività. Risultano ancora nel mio stato di famiglia. Per fortuna Chiara, 32, s’è sposata. In questi giorni mi darà una nipotina. La vita va avanti».
A fatica, ma va avanti.
«I miei guai risalgono al periodo dal 2003 al 2005. A causa della crisi economica, mi sono trovato senza soldi e non ho versato l’Irpef, l’Iva e i contributi Inps miei e di mia moglie. Lo Stato mi ha subito bloccato il conto corrente all’Unicredit. Poco male, visto che era già in rosso di 40.000 euro. Poi, quando nel 2004 sono andato in pensione, mi è stato ridotto l’assegno di un quinto per sanare il contenzioso col fisco. Un giudice del tribunale di Vicenza mi ha convocato, gli ho raccontato le mie disgrazie e alla fine ha addolcito la decurtazione: un settimo. Adesso Equitalia mi siringa 94 euro tutti i mesi. E le disgrazie non sono ancora finite».
Che altro le è capitato?
«Nel 2008 ho dovuto scucire 9.000 euro sull’unghia di arretrati all’Inps, altrimenti mia moglie avrebbe perso il diritto alla pensione minima di 460 euro mensili. Essendo in bolletta, m’è toccato chiedere un prestito di 5.000 euro a una finanziaria, al tasso annuo nominale del 14,65 per cento. Il tasso effettivo globale arriva al 21,55. Restituzione in 36 mesi, a rate da 185 euro».
Come mai quand’era imprenditore non è riuscito a risparmiare nulla?
«Veramente nel 1998 avevo da parte 150 milioni di lire. Ma per costruirmi un capannone da 500 metri quadrati ne servivano il doppio. Nessuna banca mi volle concedere una fidejussione. E l’intero gruzzolo andò in fumo a causa del fallimento di alcuni clienti, che chiusero senza pagarmi. Avrei fatto meglio a comprarmi la casa, invece di pensare al capannone».
Abita in affitto?
«Esatto, 350 euro di canone. Quindi ci restano 487 euro al mese per vivere. Non basta: siccome l’Inps ha corrisposto a mia moglie un po’ di arretrati senza interessi, hanno cominciato a trattenermi 10,21 euro al mese alla voce “trattamenti di famiglia”. Ho cercato di spiegargli che li ho accantonati per il nostro funerale. Tutto inutile. Perciò ho deciso una rappresaglia».
Che significa?
«Rappresaglia 1 a 10, come facevano i nazisti. Lo Stato mi scippa questi ulteriori 122,52 euro l’anno? E io da tre anni non pago il bollo dell’auto e dal 2006 ho smesso di versare il canone Rai. Ogni tanto mi arrivano anche ingiunzioni per due o tre multe che ho preso alla guida dell’auto. Gli dico: zonté pure sul me conto, aggiungete. Tanto che cos’altro possono pretendere da un poaréto?».
Non è degradante fare la statua?
«Subito sì. Poi pensi ai debiti e ti rassegni. Ho capito che poteva diventare un mestiere quando il titolare del bar Roma mi ha ingaggiato per attirare clienti durante la “Notte bianca” di Montecchio Maggiore: 120 euro di offerte in quattro ore. Siccome non mi andava di truccarmi il viso col cerone, ho scelto la figura del parroco».
Dove si esibì la prima volta?
«A Sovizzo, per la festa di San Michele. Fermo sino alle 19 davanti al municipio. Mi vergognavo da morire. Alla fine nel vassoio d’ottone c’erano 80 euro in spiccioli».
L’abito talare chi gliel’ha dato?
«Raccogliendo stracci per anni, di tonache ne avrò recuperate almeno una quarantina».
Fra statue viventi vi fate concorrenza?
«Sempre. Alla fiera di Cittadella ci siamo trovati in sette: un Pinocchio che viene da Brescia, due statue viventi di origine serba, un faraone ungherese più un altro paio di extracomunitari che si mettono addosso un lenzuolo e buonanotte. A Jesolo il Comune ha dovuto istituire una graduatoria: se sei veneto, ti danno più punti. Ogni anno d’età vale mezzo punto. Io sono quinto in classifica».
Per quanto tempo riesce a stare immobile?
«Un’ora. Poi devo riposarmi. È molto difficile controllare le pupille e il pomo d’Adamo. I bambini mi gridano: “Muovi gli occhi!”. A volte li accontento per la gioia di vederli correre elettrizzati a riferire l’evento ai genitori. A chi lascia l’offerta, do una benedizione per finta. Tengo ben esposto un cartello: “La spruzzatina di acqua che ricevi è un segno di ringraziamento per la tua generosità e un augurio di felicità”. Ma un 20-30 per cento si scandalizza ugualmente. “Guarda cossa te fè par ciavarghe i schei a la gente!” e “Va’ a lavorare!” sono i commenti più benevoli».
Chissà i più malevoli...
«“Facia de merda” è il meno pesante. Spesso si avvicinano compagnie di giovani che bestemmiano come turchi. Allora esplodo: basta, vergognatevi! Loro non s’aspettano che una statua parli. Ammutoliscono e se ne vanno. Molti benpensanti chiamano la forza pubblica. L’8 settembre, per la festa patronale della Madonna a Vicenza, sono venuti due carabinieri a cacciarmi da Campo Marzo. A Cologna Veneta un dipendente comunale voleva prendermi a calci nel sedere, nonostante avessi preavvertito l’assessorato al commercio della mia presenza. A Trento sono stato identificato dalla polizia urbana. A Piacenza un vigile mi ha allontanato dalla statua del patrono Sant’Antonino. A Lignano Sabbiadoro si sono persino inventati che dovevo presentare in Comune una Dia, dichiarazione inizio attività, come per i cantieri edili. A Bolzano mi sono messo in piazza Walther, che non figura tra le 13 ubicazioni vietate agli artisti di strada da un’ordinanza municipale. Alle 10 è arrivato un primo vigile ad ammonirmi. Alle 15 ne è giunto un secondo che mi ha fatto spostare sul lato opposto. Poco dopo sono arrivati altri cinque vigili e due poliziotti. L’ispettore ha aggiunto “piazza Walther e vie limitrofe” di proprio pugno, con la biro, alle zone interdette sul permesso in mio possesso e ha specificato per iscritto: “È vietata l’occupazione di suolo pubblico con tavole, sedie, leggìo e quant’altro”, una norma creata su misura per me all’istante».
Non ci vanno leggeri.
«Tutti mi dicono che posso essere denunciato ai sensi dell’articolo 498 del codice penale, Usurpazione di titoli o di onori, che commina una sanzione pecuniaria per chiunque indossi abusivamente in pubblico l’abito ecclesiastico. Allora denunciatemi! Nessuno lo fa. Non saranno loro perseguibili per legge perché vengono meno a un dovere d’ufficio?».
È questa la sua autodifesa?
«Ma no, io cerco solo di capire. Maurizio Crozza, che è ricco sfondato, può travestirsi da pontefice su La7 e prendere in giro Benedetto XVI, mentre io, che sono povero in canna e non faccio niente di male, non posso atteggiarmi a prete di campagna? Alle forze dell’ordine che mi cacciavano da Vicenza ho chiesto: e se mi truccassi da Silvio Berlusconi? Risposta: “Quello può”. Ma come, non è vilipendio di capo del governo? “No”».
Non conosce il proverbio «Scherza con i fanti e lascia stare i santi»?
«Certo. Ai vigili di Bolzano ho anche ricordato il padre Ralph di Uccelli di rovo, che, rispetto a me, ne combinava di cotte e di crude. “Ma gli attori hanno l’autorizzazione della Chiesa”, è stata la loro obiezione. Testuale».
Da non credere.
«I più cattivi comunque sono i religiosi. Il parroco di Povolaro, nel Vicentino, mi ha intimato di smettere e ha chiamato i vigili. Vabbè, poi per fortuna ci sono anche i curati intelligenti che chiedono di farsi fotografare con me. Solo che il prete vero sembro io. Mai che ne incontri uno con la talare! Tutti in jeans e maglietta. Una suora mi ha ringhiato: “Te andré a l’inferno scarpe e tuto!”. M’è venuto spontaneo replicarle: meio cussì, almanco lì no’ te trovarò, brutta e secca come sei».
Ne deduco che non ha paura della dannazione eterna.
«Al contrario. È che ho un conto in sospeso con suor Bartolomea, la vecchia suora del collegio dove fui segregato da bambino. Brava a costruire le gondole con le perline, ma pessima come educatrice. Dopo cena, anziché lasciarci giocare, ci faceva camminare in tondo nel salone fino al momento di coricarci. Una sera, avrò avuto 7 anni, stavamo recitando le preghiere inginocchiati ai piedi del letto, quando all’improvviso udimmo un rumore di catene accompagnato da urla spaventose. Nella camerata irruppe un tizio vestito di nero, con le corna sulla testa e un forcone in mano. “È il diavolo, è il diavolo!”, gridavano le suore. Immagini 50 fanciulli che scappano in cortile a nascondersi. Fino ai 15 anni ho convissuto col terrore del demonio. Il giovedì sera, per andare a vedere Lascia o raddoppia? al bar, dove c’era l’unico televisore del paese, mi facevo accompagnare da mia sorella Novenia. Ancora oggi, se mi trovo da solo al buio, ho paura del diavolo».
Va a messa?
«Ogni due mesi. Però la sera mi capita di recitare qualche Ave Maria e il Pater noster. L’ultima volta che mi sono confessato è stato tre anni fa. Sono andato dai frati di Monte Berico, che sono di manica larga».
Se fosse un sacerdote vero, c’è un peccato che non assolverebbe?
«Ce ne sono due: l’adulterio con la moglie di un amico e la bestemmia intenzionale, non quella che a tanti veneti scappa per sbaglio quasi fosse una giaculatoria».
Ha qualcosa contro i preti?
«No, e mi scoccia molto che i giovani d’oggi gli diano del tu.

È una mancanza di rispetto».
Però ne fa la parodia.
«Potrei fare il mangiafuoco, che almeno per ogni sagra piglia 200 euro dal Comune o dalla pro loco. Ma xe tropo pericoloso, tropo...».
(535. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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