«Per un negozio di alimentari, tirare su la cler ogni mattina significa almeno quindici tra gabelle e norme varie. Cose sacrosante, ma anche costi che non ci vengono riconosciuti». Dino Abbascià, presidente Fida, Federazione dettaglianti alimentari, sintetizza così la lotta per sopravvivere di 60mila imprese, perlopiù di micro-dimensioni e a conduzione familiare.
Come categoria, voi come andate?
«Il periodo non è dei migliori, anche se la crisi è iniziata in modo sottile già nei primi anni Novanta, con Tangentopoli. Da allora in poi ogni imprenditore, pur se di dimensioni minime, fu guardato con sospetto. Ed è iniziata a venir meno la liquidità».
Ora è lo stesso?
«Peggio. Quando 10 anni fa assunsi la presidenza milanese della Fidicomet, la nostra cooperativa per il credito, il 70% delle richieste di finanziamento era per investimenti, acquisto o ristrutturazione di immobili, e il 30% per liquidità di cassa. Ora il rapporto è invertito. Vorrà dire o no qualcosa?».
Avete chiuso in molti?
«Solo a Milano, negli anni 70 c'erano 2.200 frutta e verdura. Ora sono 500».
Una falcidia. I motivi?
«Affitti insostenibili, concorrenza della grande distribuzione e accesso al credito».
Le solite banche.
«Già, perché malgrado come Fidicomet diamo garanzia fino al 70% e nonostante le insolvenze del settore non superino l'1%, i cordoni rimangono stretti. Bisogna chiamarsi Tanzi, per avere credito?».
GMatt
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