Aboliamo l’Ordine, casta inutile e dannosa

Gli enti da sopprimere, comunque costosi, si dividono in due categorie: quelli semplicemente inutili e quelli perfino dannosi. L’Ordine dei giornalisti è di questo secondo tipo, uno dei più dannosi. E non solo perché di tutti gli ordini professionali - dei quali da anni si aspetta inutilmente una riforma modernizzatrice - è quello più biecamente e ottusamente corporativo. Infatti, quando non trova da mettere in castigo giornalisti sgraditi e politicamente scorretti come Vittorio Feltri o Claudio Brachino o Vittorio Macioce (ohibò, mai nessuno di Repubblica o di Raitre, per dire), quando, insomma, non è impegnato in operazioni di pulizia etnica, la massima dimostrazione dell’esistenza in vita e della dannosità di questo ente inutile consiste nella gestione dell’esame di Stato per l’ammissione alla professione giornalistica.

Ogni semestre centinaia di poveri aspiranti alla disoccupazione, provenienti per la maggior parte da scuole in molte delle quali tutto si impara tranne che il mestiere di cronista, chiedono a una commissione composta da giornalisti e magistrati, di essere ammessi nella corporazione.

Di una di queste scuole ho avuto la ventura di occuparmi: della più antica e prestigiosa, la «Carlo De Martino» di Milano, fondata una trentina di anni fa e gestita dall’Ordine dei giornalisti lombardi attraverso l’Associazione Walter Tobagi, della quale mi sono inopinatamente trovato a fare il presidente. Ebbene, è stata una delle esperienze più deprimenti della mia non breve vita da giornalista: nel rapporto con l’Ordine, «azionista di maggioranza» della scuola, mi sono trovato invischiato in una patetico bailamme di correnti pseudo-politiche, in un ginepraio di ridicoli giochini di micro-potere, un nido di vecchie vipere sdentate, un teatrino comico dove si mima la politica. Le sole persone serie erano gli impiegati e i quaranta volenterosi allievi candidati alla disoccupazione.

Per fortuna ne sono uscito in fretta e indenne. Ma ho potuto seguire dalla prima fila l’indecente spettacolo che offre l’ente che dovrebbe garantire la correttezza e la qualità della nostra professione. Ne ho ricavato la conclusione che i giornalisti sono i meno titolati a criticare i politici, giacché in tutte le occasioni cercano di scimmiottarli, benché per loro la posta in gioco sia incomparabilmente più misera. E dunque, come si permette questa gente di giudicare dei colleghi? Da quale sgangherato pulpito vengono le loro prediche e lanciano i loro anatemi?

L’Ordine dei giornalisti va semplicemente e rapidamente soppresso. Per il bene della professione. Nessuno ne sentirà la mancanza e noi risparmieremo la quota annua con la quale manteniamo in piedi questo grottesco ente. Ci libereremo così anche degli inutili esami di Stato: è la pratica professionale, la vita di redazione, il mercato del lavoro a stabilire chi è veramente giornalista, non un club di soloni.
Quando i radicali erano gente seria promossero dei referendum per l’abolizione dell'Ordine.

Se non ricordo male la proposta fu bocciata dalla Corte costituzionale. Non so se oggi lo rifarebbero: ai loro nuovi amichetti di sinistra, infatti, fa molto comodo che ci sia qualcuno o qualcosa che tenti di chiudere la bocca ai Feltri o ai Macioce o ai Brachino.

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