«Aborto, chi critica la Lombardia vuole il ritorno alla Rupe Tarpea»

La Cgil, Uscire dal silenzio, i radicali sono tutti contro le linee della Regione sull’aborto che lei ha contribuito a stendere. Non si sente in contraddizione con la sua storia?
«No, sono convinta che quel che ho fatto sia una difesa della 194 e non un attacco. Io non sono certo di destra e se ho accettato di collaborare è perché ritengo necessarie politiche trasversali per tentare di aiutare le donne a non abortire. Ricordo che lo Stato italiano tutela la vita fin dall’inizio, lo dice l’articolo 1 della 194 che non è una legge per l’aborto, ma per prevenire le gravidanze indesiderate».
Vuol dire che si sente più in sintonia con Formigoni che con certe posizioni della sinistra?
«I piani su cui ci muoviamo rispetto a Usciamo dal silenzio e Cgil sono diversi. Una cosa è dire: la 194 non si tocca. Altro è sostenere da tecnico e ginecologo che il testo della Regione è un indirizzo che facilita il mio lavoro come ginecologa. Inoltre forse la Cgil non sapeva che il ministro Turco ha reso pubblico il lavoro di una commissione di esperti che pone alla ventitreesima settimana l’epoca in cui bisogna dare cure ai neonati prematuri. Può esserci un errore di datazione della gravidanza e per questo la Lombardia ha fissato il limite di ventidue settimane più tre giorni».
Lei ha detto che a breve lo stesso limite potrebbe essere abbassato a ventuno settimane...
«Se ci saranno progressi scientifici certamente sì. Oggi a ventidue settimane in Italia la sopravvivenza è molto rara, ma in Giappone per esempio già ne sopravvivono un po’ di più. Il giorno in cui in Italia ne sopravviverà una quota rilevante, tipo il 5 o 10 cento, è ovvio che non si potrà più fare l’aborto a quell’epoca. Non c’è mica la rupe Tarpea, se con un aborto nasce un bimbo che nasce e piange non posso mica eliminarlo!».
Chi vuole la rupe Tarpea? Come risponde ai radicali che accusano le nuove norme lombarde di intimidire i medici abortisti?
«Non sanno ciò di cui parlano. È l’autonomia del medico a decidere. Se il feto non può sopravvivere non c’è limite all’aborto terapeutico. Chi non si occupa di questi problemi non si rende conto ma un feto abortito alla ventiduesima settimana, se è vitale, ha la stessa faccia di uno che nasce un mese dopo. E tu che fai, lo ignori? Respirano, urlano, poi vanno in affanno, se non gli dai nessuna assistenza possono impiegare fino a dodici ore prima di morire. Ma che cosa vogliono che facciamo, che li sopprimiamo? E non è certo interesse della madre un aborto terapeutico a 23 settimane se poi il neonato sopravvive con gravi handicap».
È favorevole alla moratoria sugli aborti chiesta da Ferrara?
«Sono assolutamente contraria perché c’è un profondo errore nella posizione di Ferrara e cioè pensare che le donne che abortiscono lo fanno perché non hanno il senso che quella che abortiscono è una vita umana. Io ho a che fare con donne che chiedono l’aborto dal 1979 e ne hanno coscienza eccome. L’aborto non è la pena di morte, è una dolorosa necessità e se le donne lo scelgono è perché non c’è altra possibilità per loro. Per questo lo Stato deve fare la sua parte nel facilitare la vita delle donne madri».
La legge 194 è adeguata a questi obiettivi di tutela della vita?
«Gli aborti con la 194 sono molto diminuiti, mentre invece non lo sono quelli delle donne straniere che infatti hanno un problema economico prioritario e hanno bisogno di ben altri aiuti. Gli studi dimostrano che sono le donne di recente immigrazione, di frequente nel loro primo anno in Italia, spesso clandestine, a richiedere l’aborto».
È stato istituito un registro degli aborti terapeutici. Una schedatura utile?
«Esiste quasi in tutto il mondo il registro dei nati malformati: permette di migliorare l’accuratezza diagnostica perché controlli il tuo errore ed eventualmente lo correggi. In genere l’errore è in difetto di diagnosi, non in eccesso. Capita anche il contrario, come capitano le diagnosi incerte ma non è frequente. Per fortuna capitano molti pochi casi come quello di Careggi in cui un feto abortito perché ritenuto malformato in realta sarebbe stato un bimbo sano».
Come valuta che a decidere dell’aborto terapeutico adesso debba essere un’équipe con lo psicologo?
«Solo una donna su cinque chiede l’aborto dopo aver scoperto malformazioni del feto.

La legge italiana non è eugenetica, parte dal dolore della donna, dalla sua depressione e della sua incapacità di affrontare la malformazione fetale. L’équipe è necessaria perché difficilmente puoi spiegare da solo una diagnosi prenatale del genere e il ruolo dello psicologo è di consulenza. È una scelta complessa per la donna ma pesante anche per il medico».

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