Abramo Colorni, l’ebreo che stregò i prìncipi cristiani

Abramo Colorni, l’ebreo che stregò  i prìncipi cristiani

Si chiamava Abramo Colorni e per certi versi è stato il Leonardo degli ebrei. Un Leonardo un po’ più avventuroso, truffaldino e segreto. Nato a Mantova nel 1544 da famiglia agiata che abitava nella contrada del Grifone (fuori dal ghetto) in quella stessa contrada morì, il 18 novembre 1599. Ma tra questa alfa e questa omega, così simmetriche, ci sono lunghissimi spostamenti, duelli, invenzioni, giochi di prestigio, trattati scientifici e progetti urbanistici.
Sì perché Abramo Colorni fu medico, architetto, alchimista, ingegnere ed «escapologo» per i più potenti signori del suo tempo: i Gonzaga, gli Este, Carlo Emanuele di Savoia, il Duca del Würtemberg... E su su fino a essere uno dei più influenti «maghi» di corte dell’Imperatore Rodolfo II (se il Cinquecento è il secolo del delirio alchemico, Rodolfo II di quel delirio fu il più grande profeta).
Ora la sua storia molto poco nota, anche sull’enciclopedia ebraica la voce a suo nome è scarna, diventa il filo conduttore del nuovo libro di Ariel Toaff: Il prestigiatore di Dio, sottotitolo «Avventure e miracoli di un alchimista ebreo nelle corti del Rinascimento» (Rizzoli, pagg. 298, euro 18,50). Lo storico Toaff, autore di Pasque di sangue, in questo saggio tratteggia le storie e i destini di ebrei molto diversi da quelli che trascorrevano la loro vita ficcati nei ghetti dell’europa della Controriforma (o peggio della Riforma). Toaff racconta una storia alternativa, quella dell’intellighentia ebraica che si ritagliò un importante ruolo nelle vicende mondiali ben prima di quanto si sia soliti immaginare. Per usare le sue parole: «Nel Rinascimento e ancor più nel periodo successivo la presenza degli Ebrei... nelle corti dei principi italiani era frequente e spesso molto ambita. Considerare la storia ebraica ponendo come pressoché unico punto di riferimento quello della triste situazione dei poveri ghetti... risulta fortemente riduttivo e in ultima analisi totalmente forviante... significa rinunciare a comprendere a fondo il multiforme contributo ebraico alla storia europea».
Ecco allora Colorni stimato e riverito alla corte dei Gonzaga, dove forse già lavorava alla sua Chirofisionomia, un libro in cui rifiutava la lettura del futuro attraverso le linee della mano, ma sosteneva, anticipando Cesare Lombroso, che si potesse determinare il carattere delle persone a partire dai loro tratti fisiognomici. Oppure a Ferrara, dove primeggia nelle scienze metallurgiche e produce archibugi a tiro multiplo. E se la sua abilità scientifica lo porta a progettare anche un precisissimo misuratore di distanze e a scrivere il trattato dell’Euthimetria, quello che lo rende davvero famoso è la sua abilita «escapologica»: risulta capace di sfuggire a qualunque prigione, dando prova di trucchi d’evasione che Houdini gli avrebbe invidiato (senza contare che anche con la spada è quasi imbattibile, tutti quelli che lo sfideranno a duello finiranno molto male). È proprio grazie a quest’ultima arte che arriva al servizio dell’Imperatore che vorrebbe utilizzarlo per liberare suo fratello Massimo d’Asburgo fatto prigioniero dal re di Svezia, Sigismondo Vasa. Nella corte praghese però Colorni verrà presto reclutato per ben più divertenti imprese e apprezzato, soprattutto, per le sue tecniche segrete sugli specchi e la riflessione della luce (molti lo ritenevano più bravo di Copernico).
Una vita dorata? No, affatto: piena di insidie e di feroci congiure di corte e anche di qualche pressione, amichevole ma non troppo, per cambiar religione «deposto il fermento della malitia hebraica». Ma una vita al centro della scena politica e culturale. E Colorni era tutt’altro che un caso isolato: il banchiere ebraico Daniel Da Pisa fu uno dei più potenti uomini di corte di Papa Clemente VII, oltre che amico personale del cardinale Egidio da Viterbo (uno dei più noti cabalisti cristiani); David De Pomis fu un richiestissimo spagirico e flebotomo che lavorò per gli Orsini, gli Sforza e infine per il Doge Alvise da Mocenico. Per non parlare del veneziano Maggino Gabrielli che, favorito dalla diffusione delle dottrine mercantiliste, venne conteso da re e principi per le sue prodigiose tecniche di allevamento dei bachi da seta, senza contare il suo ruolo di ambasciatore nel tenere i contatti con i ricchi banchieri ebrei delle «terre turchesche».
Insomma, tra diffidenze e invidie, un nucleo di professionisti altamente qualificati fu capace di correre rischi, di affascinare e a volte cavalcare la pericolosa «tigre cristiana» in un do ut des che sfuggiva alle vecchie logiche della separazione medievale e in odor di capitalismo nascente. Le nuove entità statali erano sollecite «a trattare con benevolenza, talvolta esagerata, soltanto quegli ebrei che ritenevano capaci di accrescere la loro ricchezza o di contribuire al progresso scientifico» ma chi colse la novità cambiò radicalmente la sua vita, anche a danno di chi rimase indietro.


Questa polarità evidenziata da Toaff c’è da scommettere che a qualche studioso, legato solo all’iconografia e alla vulgata dei ghetti emarginati, non piacerà. Eppure dimostra che il nostro continente ha davvero radici giudaico-cristiane e che anche quelle giudaiche sono profonde.

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