
Caro direttore,
ho letto con un certo sgomento dell'intervento dell'europarlamentare Ilaria Salis al Festival Alta Felicità in Val di Susa. In quella sede ha espresso parole di affetto e sostegno al movimento No Tav, notoriamente protagonista negli anni di episodi di violenza, scontri con le forze dell'ordine, sabotaggi e illegalità assortite.
Mi chiedo, e le chiedo: ma una rappresentante delle istituzioni europee, che dovrebbe dare il buon esempio e difendere lo Stato di diritto, può permettersi di schierarsi dalla parte dell'illegalità militante, magari in nome di un pacifismo finto e straccione? Non le pare, direttore, che la Salis sia l'ennesima bandiera rossa agitata contro la legalità?
Francesco Conti
Caro Francesco,
mi scrivi indignato e io, stavolta, sono più indignato di te. Perché il caso Salis non è una banale provocazione politica, ma un paradosso vivente. Un cortocircuito istituzionale. Un insulto al buonsenso. Parliamoci chiaro: Ilaria Salis non è soltanto un'europarlamentare eletta all'ultimo respiro con il salvagente dell'immunità. È il simbolo tragico e farsesco di un'ideologia che ha fatto dell'illegalità una virtù e della delinquenza una bandiera. Non dimentichiamo, perché tu e io abbiamo memoria, che questa signora è riuscita ad arrivare a Bruxelles nonostante pendesse su di lei un'accusa per aggressione in Ungheria. Invece di affrontare il processo come ogni cittadino civile, ha preferito rifugiarsi nel Parlamento europeo, facendo della propria incriminazione una narrazione eroica, da Che Guevara da discount. Poi però eccola qui, fresca di poltrona, non per lavorare per i cittadini, ma per andare a battere le mani a chi lancia pietre contro i carabinieri. Perché la Salis applaude il movimento No Tav, non il dissenso civile, ma quello violento, urlato, insultante. Quello delle molotov nei boschi. Della guerriglia urbana. Eppure ha il coraggio di presentarsi come «portavoce degli oppressi», quando in realtà è la testimonial dell'abuso. Sponsor ufficiale dell'intolleranza, di un'ideologia minoritaria, ma urlata, incapace di costruire ma bravissima a distruggere.
Non una parola sulle forze dell'ordine aggredite, sulle caserme assaltate, sulle case occupate abusivamente (che per lei sembrano il minimo sindacale di giustizia sociale). In compenso, ci racconta che il carcere andrebbe superato. Certo. Perché l'unico modello di civiltà per certa sinistra è la giungla. Dove tutto è permesso tranne difendere lo Stato. Salis non vuole migliorare la giustizia. Vuole cancellarla. Non propone diritti, propone anarchia. Il suo curriculum politico è un collage di slogan da centro sociale. E lo stile con cui si presenta, cappucci, bandiere arcobaleno e palestinese, pugni chiusi, è degno di chi crede che la rivoluzione sia un'occupazione abusiva, e la legalità una forma di oppressione borghese.
Il problema non è solo che Salis sta dalla parte sbagliata. Il problema è che non sa neppure dove sia quella giusta.
E la cosa più inquietante è che tutto questo lo fa da dentro un'istituzione, pagata dai contribuenti, che ha usato come scudo per evitare un processo, per poi correre a benedire i soliti antagonisti dei centri sociali. In definitiva, Salis è l'incarnazione perfetta di una sinistra che odia lo Stato ma si fa stipendiare da esso, che disprezza le regole ma le usa per proteggersi, che chiede giustizia ma applaude chi la calpesta.
Ti dico la verità, caro Francesco: Salis non dovrebbe sedere in un parlamento, piuttosto dovrebbe essere interrogata
sulle sue idee fuori dalla realtà. O magari portata in gita tra le famiglie delle forze dell'ordine ferite dai compagni che lei tanto osanna.E allora vedrebbe che anche il suo Alta Felicità le sembrerebbe una triste farsa.