
La premessa è che il governo ha chiesto un prestito di 14 miliardi al Fondo europeo (Safe) per finanziare il riarmo italiano nei prossimi cinque anni: ad averlo fatto sono 18 paesi Ue su 27 e il rimborso sarà spalmato sui prossimi 45 anni, a tasso zero. Una conseguenza trascurabile è che sin dal mattino, ieri, il M5S è partito lancia in resta contro la decisione e ha avvertito che si sarebbe opposto "a questa politica con l'elmetto in testa che taglia il welfare per finanziare la guerra", come ha detto la vicepresidente del Movimento Chiara Appendino, questo prima che le agenzie di stampa fossero intasate di analoghi e imperdibili commenti.
Tra le cose perse c'è anche la memoria grillina, visto che, tra il 2018 e il 2021, furono i governi Conte ad aumentare la spesa militare di circa 2,73 miliardi, pari a un aumento percentuale tra il 12 per cento e il 17 per cento rispetto al 2018, un aumento complessivo fino a 2425 miliardi che si sostanziò soprattutto nell'acquisto di centinaia di blindati Freccia e due Fregate Fremm. Dettaglio: Conte, a tutt'oggi, nega tutto. Dice che l'impegno fu preso da altri e che nel 2014 era solo un "professore a Firenze".
Vediamo. L'impegno per il 2 per cento del Pil per la Difesa nasce in effetti nel 2014: vertice Nato di Newport, Galles. Tutti i Paesi membri sottoscrissero il "Defense Investment Pledge" secondo il quale chi spendeva meno del 2 per cento doveva cercare di arrivarci entro dieci anni. L'Italia firmò con Matteo Renzi a Palazzo Chigi e Conte, allora, in effetti si occupava d'altro. Ma Conte giunse al governo nel giugno 2018 e il mese dopo partecipò al vertice Nato di Bruxelles, e il tema del 2 per cento rieccolo sul tavolo. C'era Donald Trump che brontolava come oggi, e Conte che fece? Annuì e ri-firmò. Poteva evitarlo? Certo che poteva. Invece sottoscrisse una dichiarazione che confermava l'impegno del 2014 e rinnovava la promessa di raggiungere il 2 per cento: firmò il suo impegno "nei confronti di tutti gli aspetti del Patto sugli investimenti nella difesa concordato al vertice del Galles del 2014". C'è la firma.
Poi nel dicembre 2019 ci fu un nuovo vertice Nato, questa volta a Londra. Conte intanto era passato alla seconda edizione del suo governo, col Pd, e andò nello stesso modo: dichiarazione finale, stesso paragrafo, stessi impegni ribaditi: firmò senza che nessuno gli puntasse una pistola alla tempia. Poteva evitarlo? Certo che poteva. Domanda: spiegò alla stampa che l'Italia si sarebbe smarcata, che i piani erano altri? No, firmò in silenzio: come quando si è d'accordo o non si ha il coraggio di dirsi contrari. Fine della discussione? No. Lui ha detto ancora e recentemente, testuale: "Ho guardato Trump negli occhi e ho detto: Prima devo sottoscrivere un accordo con la Cina, perché i nostri imprenditori hanno bisogno, sono in difficoltà, hanno bisogno di nuovi mercati Non ho sottoscritto il 2 per cento, ma l'ho giustificato, ho detto che non posso affamare gli italiani".
Una balla, detto in linguaggio corrente. Ma poi: di quale accordo con la Cina parla? Probabilmente si tratta dell'entrata dell'Italia nella Nuova via della seta, firmata a marzo 2019 durante il primo governo Conte e poi non rinnovato dal governo Meloni: ma, altro dettaglio, il vertice Nato in cui Conte ha confermato l'impegno del 2 per cento è del dicembre 2019, risale, ossia, ad alcuni mesi dopo la firma dell'intesa con la Cina. Ergo: Conte ha firmato l'impegno Nato due volte e da presidente del Consiglio: e una firma è una firma, due firme sono due firme, un premier rappresenta lo Stato, e, se firma, ha firmato il Paese. A dirla tutta, durante i suoi governi, la spesa militare è anche aumentata: dal 2019 al 2021 è passata dall'1,18 all'1,41 per cento del Pil, come sa bene l'ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini.
Ma eccoci nel
2025: Conte denuncia il "riarmo" e le spese del governo Meloni, come un piromane che si presentasse a un presidio ambientalista dopo aver lanciato una molotov: "Io? Mai incendiato niente. Ho solo tenuto accesa la torcia".